Note a margine n. 509

LA SEMINA DEL VENTO

Un singolare personaggio – che, in ragione dell’ alta carica istituzionale (ampiamente debordata in politica e nel ridicolo grammaticale) ricoperta, non possiamo definire ‘discutibile’ senza rischio, ma che, cionondimeno, dobbiamo riconoscere come molto ‘discusso’ anche in termini poco lusinghieri – ha appena annunciato tramite i mass media e urbi et orbi di voler perseguire legalmente i fantasiosi autori che nei social non lesinano creativi epiteti al suo indirizzo. Sarà un insolito mezzo marginale per spaventare i numerosi disistimatori e dissuaderli dall‘ insistere dalla pratica dell’ insulto social. Insolito ma non sorprendente se accostato ad altre disinvolte e non rare boutade. Non credo che l’ annuncio sortirà gli effetti sperati; anzi. Forse, più proficuo (appena) sarebbe stato uno sforzo di modestia con qualche recupero di credibilità che al momento appare gravemente compromessa, a tutto pregiudizio di chi, sotto lo stress della scadenza alle porte, voglia evitare ‘coûte que coûte’ di tornare a dover lavorare o di doversi cercare un’ occupazione di ‘alto concetto’ e altrettanto lucrosa. L’ amnesia degli italiani è proverbiale. E se ‘a volte ritornano’ e si ‘riposizionano’, è solo per via di questa prodigiosa e rovinosa sindrome nazionalpopolare.
Bene. Io non condivido l’ insulto come tecnica vicariante di un civile rivolgersi all’ interlocutore del quale non apprezziamo molto comportamenti o parole. Anche all’ insulto e all’ affronto, in teoria, ci sarebbe modo di replicare senza scadere nel turpiloquio; difficile ma possibile. Ma capisco anche la naturale reazione di chi (in questo caso la collettività) si sente sistematicamente oggetto di manipolazioni arroganti e spocchiose da parte di cariche statali che dovrebbero, invece, mantenersi ferme su posizioni di accurata equidistanza politica e che, invece, si lanciano spregiudicatamente in risibili e paternalistiche avventure “per educarci” o mettono le mani persino sulla nostra lingua a botte di circolari o quasi. Per perdere il rispetto da parte della gente basta e avanza. E se, in aggiunta, viene diffusamente percepito anche il senso di tradimento che colma una misura già piena, l’ insulto diventa una necessaria e intuibile sintesi dialettica di protesta nazionalpopolare non più rozza della stessa provocazione in executive e sorrisetto di sufficienza. Come a dire: ‘io so’ io e voi non siete un cazzo’. Ma est modus in rebus/suum cuique.

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