Note a margine n. 693

TANTO PER NON IMBROGLIARE LE COSE

OSSERVATORIO 4 n. 3 – marzo

Come avevo promesso, ecco l’atto costitutivo del Gruppo “Quelli del Caffé” quello originale e Autentico del novembre 2001, come pubblicato a suo tempo sulla rivista letteraria Osservatorio.

“In molti ci hanno richiesto il manifesto costitutivo del gruppo “Quelli del Caffè” e le modalità per aderire. A tutti diciamo che non c’è nessun adempimento particolare. E’ sufficiente frequentare liberamente le “Serate di Poesia” e condividere quanto si è affermato. Ovviamente chi vorrà partecipare con le proprie idee e le proprie proposte potrà farlo anche dalle colonne della nostra rivista.


QUELLI DEL CAFFE’


E’ costituito il gruppo d’arte “Quelli del Caffè” un insieme informale di autori d’arte incontratisi per caso e raccoltisi lungo un comune percorso di proposte e di ascolti.
Li sospinge e li motiva, ognuno a proprio modo, con propri mezzi e capacità, l’unanime aspirazione di esprimersi: per l’unanime andito di creare, per l’unanime voglia di sopravviversi. Nello spirito del suo libero nascere, esistere e pensarsi, il gruppo “Quelli del Caffe” che mutua il nome dal suo originario luogo di incontro:
non ha teorie da diffondere
non ha tesi da sostenere
non ha scuola da indicare
non ha impegno da assolvere
non ha missioni da professare
non ha incarichi da adempiere
non ha insegnamenti da impartire
non ha giudizi da esprimere
non ha formule da applicare
non ha modelli da seguire
non ha esami da superare
non ha pensieri ufficiali
non ha porte chiuse
Il gruppo con le sue peculiarità verso la Poesia, la Narrativa, il Teatro, vuole essere, tuttavia, un possibile spazio aperto per ogni libera espressione creativa mirata all’arte; “Quelli del Caffè” stanno a sentire, stanno a vedere, promuovono e scambiano proposte, produzioni, opinioni, riflessioni, prospettive, iniziative, orientamenti, anche in chiave di fattibile collaborazione a favore di chi di loro la richieda e di ospiti propensi ad accettare e condividere; i momenti di questo specifico tipo di realtà.
In detta prospettiva, ognuno realizza la propria partecipazione alla vita e alla crescita del gruppo secondo le proprie possibilità, inclinazioni ed abilità, e adegua il proprio comportamento agli essenziali principi di correttezza, lealtà, rispetto sia reciproco sia verso le indicazioni della maggioranza in relazione alla natura della sua realtà di operatore artistico culturale.
Il gruppo si attiva per la realizzazione di un periodico mirato allo sviluppo artistico e culturale; in piena autonomia e tutela della propria identità, promuove incontri e scambi con realtà sociali a sé affini, scuole e altre strutture interessate, ne ospita rappresentanze, ne accetta ospitalità, valutandone concretamente, di volta in volta, possibilità, opportunità e tempi.
Per il suo pratico funzionamento e la responsabile rappresentanza, il gruppo si struttura mediante una propria direzione artistico-organizzativa nelle persone di coloro che ne hanno curato e promosso l’originaria nascita, con la collaborazione di quanti siano disposti ad attivarsi utilmente.
In Bari, presso il Caffé Déco il 29 Novembre 2001″

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Note a margine n. 692

QUELLI DEL CAFFE’. L’ORIGINALE

Qualche lettore dei miei lavori e di questo blog mi ha rinfacciato d’avere falsamente scritto e pubblicato nelle note biobibliografiche dei diversi libri – d’essere stato, cioè – tra i fondatori del gruppo letterario Quelli del Caffè (Bari). Ho approfondito; infatti, ho appena scoperto che su facebook, da qualche tempo, è sparito il vecchio storico sito del gruppo, rimpiazzato da un nuovo sito con lo stesso nome, Quelli del Caffè, un nuovo gruppo letterario che, però, come lo storico Gruppo originale, fa ancora capo a Ninni Matera, alla moglie Nuccia Boccuzzi e alla sig.ra Ester Buti, qualificatisi come ‘amministratori e moderatori’. Nello stesso sito, si indica come data di creazione del nuovo Gruppo: 30 novembre 2016. Data di molto posteriore a diverse mie opere precedenti e successive. Non che sia importante – almeno, per me – ma è rilevante un chiarimento per l’ingiusto rimprovero ricevuto. Confermo tutto.

Sta di fatto, invece, che il gruppo originale “Quelli del Caffè” venne ideato, costituito e battezzato, infatti, esattamente la sera del 29 novembre 2001, da alcuni amici scrittori riuniti, come da tradizione, nella saletta del Caffè Déco in Bari; ed io stesso, tra questi, stesi l’atto costitutivo che venne sottoscritto per adesione ed entusiasmo dai presenti. A richiesta, il marzo 2002, il testo integrale del documento ( lo mostrerò per intero nelle prossime note) fu anche pubblicato sul mensile Osservatorio, con un breve preambolo esplicativo, a cura della redazione composta, tra altri, da me stesso, e dai succitati Ninni Matera con la moglie Nuccia Boccuzzi, Chiarastella D’Alesio, etc. A differenza di quello, però, qui ci si iscrive. Nella pagina successiva, era pubblicato anche un mio articolo “Come si scrive una poesia?” e la consueta ‘finestra’ con cui si dava notizia della data della prossima riunione del Gruppo “Quelli del Caffè” e del tema della serata. Nello stesso posto, il Gruppo ha continuato a riunirsi mensilmente, per diversi anni, dibattendo d’arte e presentando artisti ospiti giunti anche dall’estero e pubblicazioni. Per diversi anni l’ avviso veniva pubblicato anche sul quotidiano locale la Gazzetta del Mezzogiorno. Dopo anni di continua attività, fummo “sfrattati” per motivi burocratici del Kursaal Santalucia proprietaria del locale del Caffè Déco, e mi attivai personalmente per trovare al Gruppo un altro Caffè centrale (per tradizione doveva essere un Caffè). E così, subito mi accreditai e garantii presso il Baretto, sempre in Bari, nella centrale via Roberto da Bari, ed ivi il Gruppo trovò cortesia e gratuita ospitalità per i suoi incontri mensili che proseguirono senza interruzioni di attività nella graziosa saletta interna del locale. La documentazione, anche fotografica e cartacea (rivista Osservatorio) che conservo è oltremodo copiosa. Chi si è dedicato alla cancellazione da face book di quel lungo periodo vita del vero Gruppo “Quelli del Caffè – a parte ogni altra considerazione – lo ha fatto inutilmente.

Per anni, tutti, già di età avanzata, collaborammo attivamente anche in simbiosi con la rivista Osservatorio che annunciava e commentava gli incontri e che, per mia iniziativa, fu spedita anche all’estero. Alcuni di noi furono richiamati dal Padreterno, altri, per svariati motivi, dovettero diradare le presenze, nuovi venuti dettero altra linfa vitale agli incontri. A far tempo dal 2015, circa, per via di qualche incomprensione che, volendolo, con un po’ di lealtà era facile superare, divennero difficili le condizioni per una mia frequentazione degli incontri. Oggi, casualmente, venuto a conoscenza di questo singolare sviluppo concretatosi nel Quelli del Caffè 2, a cura degli stessi personaggi dell’intera vicenda, per rispetto dei lettori e pulizia mentale ho voluto chiarire la verità fattuale cui mi sono attenuto nell’esporre quanto sopra. Certi inusitati comportamenti altrui non costituiscono una mia colpa.

Stando così le cose, non sfugge qualche ovvia riflessione sugli intuibili risvolti sia in campo legale (cui non sono interessato) sia sul piano dello stile, specie se il tutto si rapporta a chi si proclamava amico nella condivisione della signorilità d’animo e della particolare sensibilità poetica-letteraria.

Ma tant’è. Nelle mie prossime pubblicazioni, nella parte biobibliografica, specificherò meglio: “ideatore e fondatore nel 2001, e attivo protagonista del Primo Gruppo letterario “Quelli del Caffè”. Quello originale”. Che, essendo stato copiato, non doveva essere malaccio. Ormai esco poco e scrivo poco. Peraltro, tuttavia, certe pochezze e spregiudicatezze mi feriscono ancora. Scrivo robetta. In questo mondo schifo, non so se avrei avrei il tempo necessario per qualche lavoro che mi piacerebbe portare a termine. Qualche vecchio amico del primo Gruppo, all’ insaputa degli altri, mi telefona ancora per chiedermi come sto o per portami personalmente qualche sua nuova pubblicazione con dedica. Una lealtà e una amicizia che mi onorano e mi commuovono. A qualcuno che me lo chiede, prometto recensioni che poi, puntualmente non scrivo. Me lo impediscono la stanchezza e soprattutto la disillusione. Si sa, i poeti mentono. Ma quando creano. Fuori limite, non vorrei dover mentire anche io. Non vorrei essere ricordato come un volgare imbroglione. Buon Natale a tutti.

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Note a margine n. 691

UNA CROCE

La pietosa scena della boldrinata ginocchioni del giugno 2020 a seguito dell’omicidio di un ragazzo di colore in USA si inquadrò perfettamente nella consuetudine farsesca degli interpreti che scelsero addirittura l’Aula del Parlamento per dare risalto all’insito provincialismo ipocrita e sempre più malmesso, alla disperata ricerca di accrediti nei settori degli ambienti dove ormai è d’uso la recita di copioni da strapazzo, da un lato, e l’ omissione di impegno sulle reali e concrete problematiche, dall’altro. Oggi, il silenzio e la noncuranza da parte dello stesso gruppuscolo che mandò in onda la scenetta e che adesso tace con oscena indifferenza per il caso del giovane italiano ucciso da un tizio di colore e delle aberranti motivazioni scatenanti la sua ferocia, è il prevedibile sequel di una pagliacciata da saltimbanco. Imperdonabile; ma in linea con lo stile. Da rammentare bene. Come corollario della tragica vicenda. Specialmente in cabina elettorale dove con un semplice o avventato segno di croce rischiamo di mettere in croce l’intero Paese. Buon Natale.

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Note a margine n. 690

ODIO RAZZIALE? NO GRAZIE

La sperequata distribuzione delle risorse sui territori della Terra e delle consistenze delle popolazioni che li abitano ha avuto, nella Storia dell’ Umanità, situazioni di tensioni, scontri, aggressioni, odi. Il problema irrisolto dei bisogni e delle necessità di procurarsi i mezzi di soddisfarli, a cominciare da quelli più elementari collegati alla sopravvivenza, è concreto e reale e ha inciso e incide fortemente. Intere popolazioni sono scomparse per via di lunghe e sanguinose guerre intentate per strappare (o non farsi strappare) il necessario ad altre, vuoi per non averci nemmeno provato e per essere rimaste allo stremo della indigenza sino alla fine della estinzione.

Le pagine della Storia raccontano di orrori e di sangue, di odi epocali gemmati all’ insegna dell’ homo homini lupus. Tragicità che, tuttavia, trovano la ‘spiegazione’, causa-effetto, nella realtà delle cose sopra richiamate. Etica a parte.

Ed è per questo che, per quanto mi sia inutilmente sforzato sinora di venirne a capo, devo riconoscere che trovo che l’antico odio razziale antisemita – che, purtroppo, pare stia in forte e diffusa ripresa anche in ambienti dove, per cultura e benessere, o perché i veri problemi sono altri, non si dovrebbero avvertire le spinte surrichiamate – sia una perniciosa idiozia, stupidamente gratuita, una goffa tradizione ideologica, una pericolosa irrazionalità alimentata e rinfocolata per fini artificiosi e diversivi.

Sono convinto che, per odiare tanto una “razza”, per generazioni e generazioni, e mirare persino alla sua distruzione totale, debba sussistere un adeguato riferimento razionale. Un perché chiaro, comprensibile, inequivocabile.

Ma, per il momento non ci arrivo ancora. Non trovo nulla. Su questa strada dei perché, mi sono fermato, tuttavia, al fenomeno dell’ antimeridionalismo italiano. Che, nel suo piccolo, studiato a fondo, considero una cosa da teste di cazzo.

E perciò non mi dispiace se, da grande, ho voluto fare il meridionale. Anzi.

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Note a margine n. 689

SFUMATURE

Dopo un disastroso stroncamento giudiziario – l’aula è, ormai, la sede dove In nome del Popolo Italiano si decidono le sorti degli uomini e del Paese – e l’inferno decennale, con disonore, per imputato, rispettive famiglie, relazioni sociali ed economie, un gruppo di ex condannati importanti è stato pienamente assolto in grado di Assise d’Appello. Alcuni di loro erano fedeli servitori dello Stato, esposti al rischio della prima linea operativa. Per alcuni dei poveracci che erano inciampati in questa malasorte, la Corte ha sentenziato che, contrariamente a quanto pensato dai giudici di primo grado, i fatti non costituivano reato. Non era come la pensavano loro. Dovevano pensarla meglio. Una sfumatura. Per un altro, un fastidioso Senatore – tanto faticosamente eliminato dalla politica pe queste vie – ha assolto per non avere commesso il fatto. Però, sembrava proprio. Pure la faccia, l’espressione, le amicizie, le frequentazioni,…; e che cavolo! Mah. L’accusa – in considerazione della scelleratezza dei fattacci – aveva insistito per la conferma delle condanne di primo grado.
Mo, noi popolpecoroni, non possiamo sapere null’altro che il dispositivo della sentenza. La Procura Generale, intervistata sul da farsi, ha annunciato laconicamente che si vedrà dopo la lettura delle motivazioni che saranno depositate. E noi, da inconsapevoli, non possiamo nemmeno sapere se esistono disposizioni in proposito, già belle pronte o in pectore, ed, eventualmente, quali siano. Retro o irretrovviamente. Ho già letto, però, che da qualche bocca attrezzata all’eloquio forcaiolo si sbava veleno e che già è partita la campagna socialpersuattiva. Qualche leone da tastiera ha dovuto ricorrere a massicce dosi di valeriana forte, tanto gli ingrippavano le dita. La retorica è no limits; si scomodano memorie serissime e si elaborano seriosi principi morali a cazzo per un amalgama che aggiungerà sapidità argomentativa persino a qualche sciapo candidato alle prossime elezioni.
E, nel frattempo, alcune richieste referendarie saranno da prendere davvero sul serio. Ancora più seriamente. Mi auguro. La muraglia cinese ostativa non è da sottovalutare. Gli interessi in gioco sono vitali.

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Note a margine n. 688

IMPARATE

«Non esiste nessuna rabbia, nessun comportamento che possa giustificare il femminicidio. Chiedo scusa se non era chiaro abbastanza». Queste le parole – visibilmente costrette – di Barbara Palombelli, sottoposta ad un fuoco di fila di proiettili sparati dagli indignatissimi interpreti di una infausta battuta della giornalista durante una trasmissione televisiva. Infausta, penso, non per il concetto in sé, espresso nel periodo incriminato nel particolare contesto di un finto processo, quanto per la incapacità e/o vile malafede degli sfaccendati ipocriti, non meglio occupati ad attendere seriamente, invece, ai lavori per cui sono strapagati con privilegi al seguito.

In effetti, scattato il tam tam fra una faccia tosta e l’altra, tra una faccia di culo e l’altra, tra le ideologhe della desinenza al femminile, con lo scontato ausilio accessorio degli abbozzamenti puttanieri di rito, in quattro e quattr’occhio si è montata una bufera mediatica e si è organizzato un sollevamento di pantere e pantegane contro la Palombelli (arcinota e storica crociata contro la violenza sulle donne) che, a loro dire, avrebbe giustificato il femminicidio. Udite, udite!

Eppure, sarebbe bastata la conoscenza dell’italiano di base per capire il vero, univoco senso della battuta detta nell’aula di Forum dove, presso il Giudice arbitro si conoscono e si dibattono, tra gli altri, i casi di litigi tra coniugi: «Come sapete, negli ultimi 10 giorni ci sono stati 7 delitti, sette donne uccise presumibilmente da sette uomini. A volte è lecito domandarsi se questi uomini erano completamente fuori di testa oppure c’è stato un comportamento esasperante, aggressivo anche dall’altra parte? È una domanda. Dobbiamo farcela per forza perché in questa sede, in un tribunale, dobbiamo esaminare tutte le ipotesi».

Ebbene; per quel conta, la domanda me la pongo anche io. E non da ora. Come molti altri. E’ lecitissima, anche se la risposta viene considerata irrilevante ai fini penali. Il resto sono solo cazzate come debordate dal cesso intasato da un puzzolente perbenismo.

Una delle poche vere giornaliste (e altro, a crescere) circolanti, in proposito, Maria Giovanna Maglie, interpellata sull’argomento sull’argomento ha risposto: “Quale bufera? Quante balle politically correct! Fai un programma in cui si finge di celebrare un processo e introduci l’argomento del ‘aveva perso la testa’ o ‘lei lo aveva provocato’, che usano ahimè i giornali e che si usa nei processi…”Non è che la scuso, è di più, proprio non vedo il problema, lo vedo completamente montato. E ancora: “Molto rumore per nulla ma ognuno è libero“. Imparate.

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Note a margine n. 687

GREEN IMPASSE

L’età avanzata mi ha insegnato, tra l’altro, che c’è sempre nella vita di ognuno un momento in cui, per interessi o per circostanze particolari, occorre pur fare qualcosa che ci fa paura. Io credo che una vita spesa soltanto ‘scivolando sul sicuro’ sia fortemente delimitata e ci escluda dal circuito delle reali potenzialità umane, quelle che, invece, hanno contrassegnato l’evoluzione e hanno concorso ad attuare il progresso. A favore della specie e del singolo individuo.
Il ‘tirarsi indietro’ non sempre è semplicemente buona norma prudenziale; a volte, è anche condotta oggettivamente ostativa per il raggiungimento o per tentare il raggiungimento di auspicabili mete e risultati.
Se non siamo ancora uomini di caverna, se non siamo già vecchi o malconci a 40 anni, lo dobbiamo a chi ‘ha provato’, sapendo che nulla al mondo offre sicurezza assoluta e il rischio incombe sempre e comunque. Se nulla al mondo è perfetto, esiste il meglio del momento, allo stato dell’arte.
Ora, se qualcuno non si sente di ‘scivolare sul sicuro’ sottoponendosi ai vaccini o terapie o interventi, e pertanto li rifiuta, non neghi il vero ed unico motivo del suo rifiuto: la paura; che è sentimento umano strettamente connesso all’istinto di conservazione e di sopravvivenza, Sentimento, più o meno razionale, a seconda dei contesti, ma naturale.
E chi ha timore di affrontare la prova – che “il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare” – abbia, tuttavia, almeno la capacità di ammetterlo apertamente, di non mistificare, di non dissimulare la propria scelta (che, quanto al vaccino anticovid, ha seri risvolti e portata sociali) invocando il proprio sacrosanto diritto di libertà Costituzionale. Che, in questo caso, è soltanto argomentazione a difesa di una scelta già fatta e non il motivo della stessa. Una umana paura. Proprio come quella di non vaccinarsi. Cincischiare col green pass e farne un green impasse, proprio no.

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Note a margine n. 686

MA VA’, PENSIERO

Prendo spunto da alcune interessanti riflessioni pubblicate recentemente da un quotidiano da un blogger docente specialista antropologo della mente che così conclude il suo intervento: “…ciò che pensiamo di noi dipende in larga misura da quello che gli altri pensano di noi…”, lasciando ampio spazio ai commenti dei lettori nella sua rubrica. Spesso, rispondendo.

‘Egregio…, sul rilievo della interconnessione dei pensieri, alle sue interessanti osservazioni, mi permetta di aggiungere – estemporaneamente – il peso della percezione degli stessi, da parte nostra, di quelli altrui, e da parte d’altri, dei nostri, considerate le variabili del linguaggio con cui essi si esteriorizzano e si comunicano, e del bagaglio culturale che sottende alla interpretazione del mezzo espressivo comprensivo anche di quello gestuale di complemento. Per non dire del contesto e di un insieme indefinito di altre variabili, anche emotive e caratteriali personali, e non escluse quelle criticità connesse ai bisogni anche materiali. I quali gestiscono – anche essi interferendo – in buona parte, i pensieri di tutti. Pensi per un momento al monstrum dei reati di opinione e alla doppia mostruosità di chi è convinto di poterli capire e potertene condannare’.

Questo, nel mio piccolo, il testo del mio commento. Quanto allo scempio persecutivo persino del pensiero altrui, giuro che minus dixi quam volui. Ovviamente, per intuibili motivi.

La merda de quo è già abbastanza nota di suo e non mette conto di doversi soffermare con altri riferimenti a nomi, movimenti, categorie, fatti, figuracce, etc. Il fatto è che, da noi, quando uno pensa, anche se non dice niente, vai a vedere, poi, come la pensano e reagiscono di brutto gli altri, gli psicoloclasti col poligrafo incorporato tra le sinapsi! Ma che lo dico a fare?

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Note a margine n. 685

PORCO MONDO

E’ porco il mondo. Dove, forse, più della metà degli abitanti, soffre la fame e la sete, e si dà da fare per trovare un minimo di che dissetarsi o sfamarsi, e magari, se non riesce a raccattare qualche goccia o briciola, muore d’ inedia; contemporaneamente l’ altra metà si dà da fare per cercare di bere e di mangiare di meno, spende fior di quattrini per dimagrire, e magari si trascina drammaticamente obesa, getta via il ben di Dio, o non sopravvive agli attacchi dei grassi.

E’ porco il mondo. Dove, interi Paesi sono decimati drammaticamente per morte del Covid, la gente insorge contro i Poteri per invocare un vaccino, uno qualunque, e in altri Paesi prima si è fatta la guerra persino per la scelta della marca del vaccino e poi si insorge nelle piazze con la guerra dei no vax, in nome della parola ‘libertà’ – abitualmente usata a cazzo per nobilitare la ‘causa’ – per protestare contro i provvedimenti adottati per fermare il diffondersi della terribile pandemia.

E’ porco il mondo; dove i cacasotto, idioziosi e pirlomani possono mandare in onda la loro chiassosa sceneggiata di protesta, sapendo che, proprio grazie alla maggioranza della popolazione già vaccinatasi volentieri e spontaneamente, possono continuare a scherzare col fuoco, a cazzeggiare con meno probabilità di andare a finire all’intubazione.

E’ porco il mondo, anche nel nostro piccolo, dove, didimorficamente da un lato si raccomanda di mantenere il distanziamento interpersonale, dall’ altro, in un ambiguo quattro e quattrocchio, per mano di qualche dinamico degli amici, si buttano centinaia di milioni per comprare disagevoli banchi mobili a rotelle – peraltro, nelle aule dove invece i banchi occorrerebbe inchiodarli al pavimento per fermarli a giusta distanza di sicurezza. E si buttano quelli preesistenti, anche in ottime condizioni, e poi bisogna ricomprarli com’erano. E per questa genialata non ci rimette nessuno, in particolare, nemmeno gli sfreudati responsabili del poltromane loscoriame politico, tranne la collettività prendingula per destinazione d’uso. Per non dire delle mascherine inutili e ufficialmente contrabbandate per buone.

E’ porco il mondo da espettorato mentale.

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Note a margine n. 684

CAR.BON.

La legge della cosiddetta riforma della Giustizia – il Car.Bon. – ha ricevuto l’approvazione della Camera dei Deputati col voto sulla fiducia. Pare si tratti di un incrocio delle novità proposte dalla Cartabia col pregresso marcato Bonafede.

In itinere e a cose fatte, sono piovute critiche e richieste di emendamenti a gogò, non tutte pretestuose, per quanto ne so. Il tizzone ardente ora passa al vaglio del Senato. Staremo a vedere.

Personalmente, oltre al provvidenziale superamento del Bon., la mano della Car. alimentava più speranze, ben altre concrete speranze. Meglio di niente, tuttavia.

Penso, però, che, trascinando a fatica i miei acciacchi, dovrò andare a firmare di corsa per il referendum per la riforma della Giustizia. Dovremmo essere in democrazia e invece ci troviamo a dibatterci in una oligarchia temporale, intimidita e rappresentativa di se stessa, e il potere magistratuale apicalmente attestato.

Il Corpo Elettorale, organo costituzionale davvero sovrano, deve farsi sentire con tutto il suo peso, deve scuotere energicamente le posizioni legittime ma inette, e le altre scalanti e aggressive. I cittadini non possono continuare scontare sulla loro pelle e sulle loro vite un sistema di cui amarate e palamarate, tanto per fare un piccolo esempio, sono soltanto le punte di un pauroso sistema iceberg, di una realtà che ha dell’incredibile per un Paese civile.

Referendum. Ci andremo a firmare; e troveremo tutti, tranne gli interessati a mantenersi stretto lo status quo e entourage.

Ci andremo fiduciosi. Purché, poi, il potentato dei carichiachiacchiere non ci abbindoli attraverso le reti dei soliti canali fognanti, e l’esito referendario sull’agognata riforma faccia la misera fine di una farsa, tipo referendum popolare sulla responsabilità civile dei magistrati dell’ 8 novembre 1987.

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