Immagino un mio libro inclinato tra quegli altri pochi che ho scritto in circa venti anni. Cominciai con la velleità di scrivere una cosa bella, interessante. Lo stampai in una editrice tipografica; mi autofinanziai e, come avviene di solito in questi casi, esagerai nel numero di copie. Ed esagerai pure nel titolo; con la mira di sorprendere l’ attenzione, scrissi Pensieri in disordine – che poteva anche andare benino, visto che si trattava di un mixer di narrazioni, poesie, aforismi, poesia in lingua e dialettale, un paio di preghiere laiche; insomma, tutto ciò che avevo scritto fino al 1993. Il dubbio era se avrei potuto stamparne un altro. Allora, il titolo diventò più importante: ‘PENSIERI IN DISORDINE scritti in racconti, in versi, in fretta, in breve ed in altri modi ancora’; debordante, ma almeno non mentiva.
Poi scrissi ancora, con più ordine e attesi un’ eco che non venne, nemmeno con i libri che penso essermi riusciti. Cominciai allora a diventare un scrittore di grande insuccesso, per debolezza del prodotto ma anche per mancanza del necessario supporto mediatico di cui non sapevo nulla. Ho proposto qualcosa a grandi editori; ma dopo due anni mi dicono che non è il loro genere. Gli editori locali vogliono troppi soldi. No; allora io pubblico e regalo quasi tutto; spargo il mio nome tra le librerie private come i semi tra i solchi appena rivoltati. Solo che sperare che ne germogli qualcosa è pia illusione. Anche il nome diventerà polvere.
Sui giornali locali si dedicano paginoni con interviste e foto a scrittori locali, gente con le con le carte in regola, intoccabili e con l’ orticaria alla critica. Io ho solo la patente di guida e la carta di identità, non bastano.
Sino a qualche anno fa ho partecipato a diversi premi letterari di periferia e qualcuno me lo hanno assegnato per la poesia e per il racconto. A pensarci, oggi, robaccia: gli scritti e i premi. Dopo circa venti anni di collaborazione gratuita, me ne sono uscito da un quindicinale dove avevo scritto di tutto spesso vedendo copiate le mie idee anche dalle firme che contano su giornali che contano. Avevo scritto la parola “merda”, il direttore non volle capire che io non sono un giornalista ma mi sento autore, ed io non volli cancellarla. Addio. Allora nel 2010, non potendo smettere di colpo la droga dello scrivere e del comunicare, mi feci un blog (michelelamacchia.wordpress.com): insomma, uno senza direttore e che, per il 2014, ha contato 5.600 lettori sparsi in 65 Paesi, a cominciare da Italia, Israele, Indonesia, etc. e un bel gruppo di commentatori, con qualcuno di vero spicco. Ma si vede subito che i commentatori sono pochissimi rispetto ai lettori, anche se il sistema del wordpress assicura il pieno anonimato. Li capisco, capisco la sensazione del rischio di vivere in un Paese dove hanno fatto attecchire la malapianta del reato d’opinione.
Quello che non capisco ancora è che dovrei smettere di scrivere; se potessi, dovrei smettere anche di pensare: fa tristezza.
Ci sto riflettendo seriamente da molto tempo: è come voler smettere e fumarsi l’ ultima sigaretta.
Ma quel libro di cui dicevo prima? Beh, per quello darei tutti gli altri. Ci sto provando, a fatica, fino ad un attimo fa era un mio segreto personale. Eppure, è quello il mio libro in progress che, come la mia vita, vorrei che resti in qualche scaffale impolverato, sotto gli occhi distratti di qualcuno per il tempo in cui non ci sarò più. Ecco, sarei contento che qualcuno ricordi ancora le mie parole.
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Caro Prof., ho letto d’un fiato gli ultimi due blog e poi sono andata a curiosare nel Cucù di Veneziani certa che avrei trovato qualche utile spunto sull’argomento della tolleranza tanto dibattuto. Bingo! Sempre bravo e illuminante, e qualche valido commentatore glielo ha scritto.
Non credo che si farà molti amici; ma quei pochi che l’ apprezzano valgono bene tutto il resto.
Questo significa dibattere, al mio Paese. Il resto è rissa, attacco, scandalismo e lei fa bene a non raccogliere.e a non fare citazioni per sostenere le sue idee; ma in questo caso occorreva indicare le fonti. E ha fatto bene. OK OK OK un bacio, Gray
Prof. Lamacchia, era da tanto che leggevo e non riuscivo a commentare; vedo che finalmente il problema è risolto. Le sue riflessioni sono sempre più interessanti e vedo che bel riscontro di lettori è riportato sulla tabella analitica. Tutto pienamente meritato, visto che le lei non ricorre ad alcuno dei solit sostegni di propaganda. Questo nuovo libro, non abbia fretta, se lo tenga nel cuore il più a lungo possibile, ci metteremo in sintonia. La sento un po’ scoraggiato. Non lo faccia anche lei, Un bacio. Margot .
Prof. Carissimo, lasci che per una volta io non condivida una buona parte delle sue considerazioni. Lei parla di ‘robaccia’, ma io che ho ho letto quasi tutto di lei, tranne il primo libro introvabile, posso assicurarle che la penso in modo del tutto diverso. Lei è troppo critico verso se stesso, ma il fatto di non accontentarsi mai, di non essere soddisfatto di sé, depone a suo favore, specialmente in un mondo dove le modestie (le mezze calze, come le chiama lei) vengono esaltate. Lo scriva pure quel suo libro; ne sono convinta, ci riuscirà. E se non dovesse essere lo splendore che si attende, non sarà un problema per nessuno e non dovrà esserlo nemmeno per lei. In genere, le sfide con se stessi si perdono in partenza; soltanto i modesti le vincono tutte. Ho letto il rapporto consuntivo pubblicato da wordpress prima delle note n. 393, e mi pare che lei venga letto in tutto il mondo quasi. Mi farebbe felice se lei finalmente si decidesse a pubblicare qui una sua poesia inedita. Ci conto. Ciao Prof. Carissimo, a presto. Nel frattempo, continuo a leggerla tra i vari commenti de il Giornale. Lei sa da quanto lontano le scrivo e non immagina quanto conforto e orgoglio lei riesce a darmi.