CAR.BON.
La legge della cosiddetta riforma della Giustizia – il Car.Bon. – ha ricevuto l’approvazione della Camera dei Deputati col voto sulla fiducia. Pare si tratti di un incrocio delle novità proposte dalla Cartabia col pregresso marcato Bonafede.
In itinere e a cose fatte, sono piovute critiche e richieste di emendamenti a gogò, non tutte pretestuose, per quanto ne so. Il tizzone ardente ora passa al vaglio del Senato. Staremo a vedere.
Personalmente, oltre al provvidenziale superamento del Bon., la mano della Car. alimentava più speranze, ben altre concrete speranze. Meglio di niente, tuttavia.
Penso, però, che, trascinando a fatica i miei acciacchi, dovrò andare a firmare di corsa per il referendum per la riforma della Giustizia. Dovremmo essere in democrazia e invece ci troviamo a dibatterci in una oligarchia temporale, intimidita e rappresentativa di se stessa, e il potere magistratuale apicalmente attestato.
Il Corpo Elettorale, organo costituzionale davvero sovrano, deve farsi sentire con tutto il suo peso, deve scuotere energicamente le posizioni legittime ma inette, e le altre scalanti e aggressive. I cittadini non possono continuare scontare sulla loro pelle e sulle loro vite un sistema di cui amarate e palamarate, tanto per fare un piccolo esempio, sono soltanto le punte di un pauroso sistema iceberg, di una realtà che ha dell’incredibile per un Paese civile.
Referendum. Ci andremo a firmare; e troveremo tutti, tranne gli interessati a mantenersi stretto lo status quo e entourage.
Ci andremo fiduciosi. Purché, poi, il potentato dei carichiachiacchiere non ci abbindoli attraverso le reti dei soliti canali fognanti, e l’esito referendario sull’agognata riforma faccia la misera fine di una farsa, tipo referendum popolare sulla responsabilità civile dei magistrati dell’ 8 novembre 1987.