E ADESSO POVER’ UOMO?
All’ approccio del primo giorno di scuola di ciascuno degli 37 anni di insegnamento ai giovani dai 15 ai 20 circa, dopo essermi presentato come loro insegnante di materie giuridiche e avvocato di professione, invitavo i miei studenti a riflettere su due principi fondamentali che avrebbero accompagnato i nostri lavori sino alla maturità. Il primo: il valore irrinunciabile ed il rispetto della libertà la quale, tra l’altro, comprende anche la scelta di restare ignoranti e, quindi, di non studiare e di non disturbare quelli che a scuola venivano per imparare, elevarsi, crescere; il secondo: la scuola è per gli studenti l’ ultima occasione per usufruire utilmente di tutta una grande organizzazione gratuita di beni, servizi e persone che sono lì per dare tutto di se stessi a coloro che erano interessati, aiutando anche i meno capaci. Poi. Fuori dalla scuola nessuno avrebbe fatto per loro più nulla se non in cambio di qualcosa fatta o data da loro. Persino, nelle arti e nelle professioni, avrebbero trovato maestri gelosi del proprio sapere e poco inclini a trasmettere loro, in breve e con pazienza, il proprio patrimonio culturale e la maestria raggiunte in tanti anni di studi e di esperienze.
Poi davo loro un giorno per scegliere prima di dichiarare in classe la propria opzione e precisavo che questa sarebbe stata rispettata senza alcuna costrizione, e sempre in classe si valutavano insieme le intuibili conseguenze. Questo stimolo ha dato sempre ottimi frutti.
Non ricordo qualcuno che si sia defilato. Almeno, dichiaratamente.
Il secondo giorno, raccolte le tacite “adesioni”, a piccoli passi introducevo – anche tramite piccoli esempi pratici – il senso della mia materia e la sua rilevanza nella vita dell’ individuo e della collettività. E quando cominciavano a fioccare cento domande mi rendevo conto di aver ‘agganciato’ il loro interesse a sapere, a imparare. Rispondevo all’ impronta ad ognuno. E tutti si sentivano coinvolti. Prima che finisse la seconda lezione, tuttavia, per onestà intellettuale, spegnevo un po’ i fuochi, mi sentivo obbligato ad avvertirli: “A quelli di voi che lo vorranno insegnerò molte cose; ma vedrete che, nella vita, una buona metà di queste non le troverete come ve lo ho insegnate; il peggio è che sin d’ora non sarà possibile sapere a priori quale sia la metà vera e quale quella che sta solo nei libri”. Li preparavo alla vita e ad affrontare il ‘guastafeste’ dell’interpretazione. Di cui, di lì a qualche giorno avrei raccontato in classe.
A distanza di molti anni, congratulandomi con un mio ex studente appena uscito con successo dalla sessione di laurea cui ero stato invitato, mi venne di getto di citargli il titolo di un bel romanzo di H. Fallada: “E adesso, pover’uomo?”. Sul momento, mi guardò un po’ stranito. Oggi, a distanza di qualche anno, con l’aggiunta di una laurea magistrale specialistica triennale, l’ ho rincontrato. Mi ha raccontato di varie e vane domande, corsi e concorsi, con l’ espressione di uno che, nel frattempo, deve avere capito il senso di quella mia allusione. Studia e si prepara ancora. Ora sa. La ‘cosa’ andrà totalmente a sua cura, spese e rischio. Auguri di tutto cuore.
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