Note margine n. 619

LINGUA

Oggi m’ è accaduto di dover raccattare qualche altro brandello della solitudine spirituale che isola i conoscitori e utilizzatori della lingua italiana, accerchiati dal popolo rampante degli approssimativi utenti di un idioma degno – in ragione della sua ricchezza – di tutt’altra attenzione e cura. Elemento essenziale di base: una conoscenza intima e non una sbrigativa infarinatura; l’italiano è lingua che, appropriatamente, si sa o non si sa, con buona pace dei cultori dei vicarianti sms, emoticon, emojipedia, etc. segnacoli di una progressiva e invasiva versione aggiornata e riaccomodata del bantu, forse, la lingua più primitiva di cui si abbia notizia. E non va dimenticato quanto l’ampiezza della conoscenza delle parole determina quella delle idee.
Ma per uno che non ci tiene, nulla quaestio. E se non capiscono ciò che provano a leggere – magari, basterebbe un piccolo impegno ‘recuperativo’ di studio – basta un’ alzatina di spalle e la trita, sprezzante esternazione: è italiano desueto. Punto. Specie se si tratta di poesia e del suo verso, che è più o meno sintesi, rispetto ad una approfondita analisi argomentativa prosastica. Meglio i testi delle accessibili performance di Guccini, De Andrè, Venditti e &. Chissà che cosa pensa – persino il preparato traduttore simultaneo – di una proposta di traduzione di Pascoli, di Carducci, di Quasimodo, di Montale etc. No, grazie. Italiano desueto? O è desuetudine all’ italiano? Nel dubbio, riproporrò al mio editore un dizionario italiano facilitato, una editio minor, un manualetto di duecento lemmi (pardon: parole), al massimo, ciascuno corredato di emoticon, memoji e sms corrispondenti. Veniamo incontro alle diffuse indigenze lessicali. Tascabile, carta riciclata e a costo contenuto. Nel nostro piccolo, rendiamoci ancora socialmente utili. In molti, il resto l’abbiamo già dato.

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