AUGURI E ACQUA DI ROSE
In un contesto sociopolitico-economico così alterato da incursioni e rappresaglie ai danni della correttezza costituzionale ai limiti del golpe mascherato (iniziato sin dalla precedente legislatura) coloro che riescono ancora a conservare l’attaccamento all’ordinamento come risorsa essenziale per una difficile rinascita, hanno guardato alla figura del Presidente Mattarella, in seduta colloquiale, e al suo tradizionale discorso di fine anno, con la speranza di trovarvi buone rassicurazioni per sé e moniti di richiamo per altri. Ma molte aspettative sono andate deluse, sia pure in gran parte. Date le condizioni del Paese, ci si attendeva meno roba all’acqua di rosa, meno sfumature e toni più decisi, all’insegna del ‘pane al pane e vino al vino’. Quanto agli ascoltatori, infatti, cittadini comuni e cittadini speciali, le indicazioni dovevano essere più dirette, nette e coraggiose. Il linguaggio più accessibile nel senso, pertanto, anche a briganti, avventurieri e spregiudicati. Il Presidente non poteva ignorare che non stava rivolgendosi, a reti unificate, alla creme della cultura giuridica, della cultura filologica-umanistica, alla saggezza del buon senso etico-democratico e del fair play istituzionale e personale.
Così, un po’ abbacchiati, abbiamo salutato il 2018, con gli auguri dal Quirinale. Che non ci hanno fatto incazzare o vomitare come per qualche altro residente predecessore tutto da dimenticare, ma nemmeno ci hanno lasciato un filino di speranza in più per le prospettive. Ci avrebbe dato un bel po’ del coraggio necessario. Sostanzialmente, un’occasione persa. Peccato.