Note a margine n. 584

AIUTIAMOCI A CASA NOSTRA

Sarà una semplice sensazione, sgradevole, direi. Ma temo che il curioso ”avvertimento” dell’ONU – esattamente non si sa da chi è partita la singolare iniziativa, ma lo si può immaginare senza sforzo – di mandarci gli ispettori a verificare se in Italia siamo razzisti era più, molto di più della sola, singolare coglionata che sembrava a prima vista. Confermo la ‘singolare coglionata’; il dubbio si circoscrive al resto: personaggi e strumentalità.
A parte il fatto che non si sa se, poi, questi ispettori siano davvero venuti e se stiano già infiltrati tra noi a spiarci in borghese, a interpretarci e a relazionare ai mandanti, come per redigere delle guide hotel e ristoranti, magari facendo anche da agenti provocatori, chi, come me, crede poco alle coincidenze, ha istintivamente collegato l’inusitato progetto cazzegginquisitorio a quello – seguito a distanza di pochi giorni – della congolese Cécile Kienge, figlia del prolifero capo tribù katanghese Kikoko. Una signora che in questo nostro Paese (astutamente spacciato per razzista) sembra, invece, aver trovato la sua ambita terra promessa, onori istituzionali italiani e poi europei, e lo spazio ad libitum per la sua intraprendenza politica, sociale e antropologica. Ma, si sa bene quanto conviene farsi passare per vittime e martiri. Specialmente in un paese malato cronico di senso di colpa.
Salvo, poi, a sputare nel piatto dove ha mangiato, continuando ad accusarci di razzismo, una scontata, patetica ma utile litania sgranata da chi è, sempre e comunque, tutelata da intoccabilità e da incontestabilità per via dei particolari privilegi che da noi – malati sofferenti di provincialismo e intimiditi da specifica e indecente aggressività sanzionatoria – si riservano a certe tipologie. E, per questo motivo, la signora, ferrea avversaria del principio “aiutiamoli a casa loro” (che forse scompiglierebbe i suoi piani), ha pensato bene di attivarsi nel Paese che l’accoglie anche per la realizzazione di un suo ambizioso progetto battezzato Afroitalian power Initiative. In italiano le dava disgusto. Astutamente indefinibile, per il momento; una ‘cosa’ polisemica, abilmente fumosa, un movimento, una chiamata a raccolta, una mobilitazione razziale che, nell’ambiguità lessicale delle sue motivazioni esplicitamente mirate a ‘farsi valere’, manda una serie di pericolosi messaggi anche subliminali che esaltano e non pare promettere nulla di particolarmente pacifico sul piano della tanto ventilata integrazione, al di là delle parole usate. Si consiglia di andare a leggerli o ascoltarli in rete dalla stessa voce del personaggio, giusto per farsi un’idea dei livelli delle possibili prospettive.
Sarà; ma faccio fatica ad escludere una ben strana complementarietà tra le due iniziative – quella attribuita tout court all’ ONU e quella a seguire della sullodata che si combinano alla grande, stante anche l’attiva presenza in loco di noti e ben definiti soggetti italiani e pamperi, complici razzisti antitaliani, surrettizi o conclamati, in attesa di premi e riconoscimenti da raccogliere nel nuovo che verrà.
Prendiamone atto e freniamo almeno le parole se non le preoccupazioni. Ma finché c’è tempo, magari senza dare molto nell’occhio, “aiutiamoci a casa nostra”. Magari cominciando con un’altrettanto fumosa Italoitalian power Initiative, allo stesso scopo: “farsi valere”. Se ancora valiamo, ovviamente. Lecita se è lecita l’altra. Mah; forse, siamo già fuori tempo massimo. O forse no. Ma almeno, organizziamoci per fare le pulizie di casa.

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