IL BULLO DELLA BUONA SCUOLA
Ormai sono sempre più frequenti e brutali gli episodi di bullismo (e di fattispecie più gravi) consumato negli ambiti scolastici da parte di studenti, anche giovanissimi, in danno di colleghi ed ora persino dei docenti nell’esercizio delle loro funzioni. Le cronache riportano in dettaglio le aggressioni e gli immancabili video girati dagli stessi alunni e da loro postati a mo’ di trofei per la diffusione in rete documentano una gratuita violenza, in ogni sua forma, dai risvolti patologici e dalle preoccupanti prospettive.
In ogni tipo di scuola, non escluse quelle ritenute più elitarie, pare essersi diffusamente innestata una dinamica di episodi di questo tipo, anche se, spesso, si tratta di casi non nuovi bensì di vicende cominciate da tempo e che soltanto ora stanno raggiungendo visibilità; soprattutto per effetto della sempre più sfacciata improntitudine di chi li esalta filmandoli e poi inserendoli nel circuito mediatico, e molto meno per effetto di indagini o mirati sistemi di sicurezza e prevenzione. Per il bullo, la documentazione filmica, infatti, è elemento essenziale e scatenante della bravata. Serve a farsi un nome e ad uscire dall’ombra dell’anonimato di chi anela a contare qualcosa di più, magari, a diventare un eroico modello o capobranco di cui si parli in ambiente, guadagnarsi visibilità.
Quanto alla scuola, non possiamo che prendere atto con vivo disappunto come la stessa stia vivendo una lacerante mortificazione della sua funzione socioantropologica, quasi passivamente, non soltanto per via della inesistenza o inadeguatezza di efficaci mezzi e programmi correttivi-dissuasivi e di recupero. Non esclusi sia il calo del livello di autorevolezza o di impegno di certi docenti sans souci nel dialogo didattico-culturale col timore (spesso, nell’incapacità) del valutare e del misurare, sia la crescente, distorta ed ostile interferenza di famiglie, spesso già responsabili di vuoti educativi domestici o di esempi poco edificanti i cui effetti sono poi trasferiti a scuola.
Dalle aggressioni fisiche agli invasivi responsi dei Tar spesso aditi anche a sproposito o a furbesco rimedio alternativo – tutto depone a sfavore della rispettabilità della scuola, del rispetto dei ruoli docenti e discenti. Anche la scuola sta inarcandosi più verso un pericoloso e sconclusionato ‘dirittismo’ e molto meno verso un educativo-formativo ‘doverismo’ corrispondente, che prepari criticamente consapevoli cittadini e li converta alla fede del fondamentale rispetto delle regole e del prossimo.
E le vittime più indebolite da questa particolare violenza bullista spesso tacciono, per pudore, per paura di ritorsioni, o per sfiducia nei rimedi, quasi sempre così inadeguati da finire con l’ingenerare la convinzione di una sorta di fatalistica impunità dei loro carnefici che ne traggono spunto per la ulteriore prolificazione. Mentre, spesso, le vittime, stremate, optano per definitivi gesti disperati che ci scuotono ma solo per qualche minuto di commento, la società continua ad annaspare tra analisi estemporanee, opinioni di competenti e di incompetenti convenuti negli stessi salotti tv, in genere e per la maggior parte accomunati dalla predominanza dell’idea del recupero e del perdono senza i preventivi passaggi necessari ad accreditarne valenza ed efficacia. Per tacere della oscena complicità delle famiglie, puntualmente acritiche e faziose, inclini a dubitare o a minimizzare e banalizzare le gradassate ed il teppismo delle loro creature. E’ dura riconoscere onestamente il contrario. Bell’esempio, bel messaggio.
Ed è proprio questa predominante e solitaria idea del recupero tout court cui si vuole tendere direttamente, senza graduali attraversamenti intermedi, il punto antropologicamente debole che finisce per alimentare ulteriormente il fenomeno del bullismo, nel caso in esame, scolastico. Mira facilona e piuttosto velleitaria, se prima non si creano le necessarie condizioni che mettano in grado il bullo di capire cosa sia la prima e ineludibile responsabilità del proprio operato, l’equazione colpa-sanzione adeguatamente afflittiva. Una pena efficace, tale da far intendere il patimento dell’umiliazione inferta e da reagire come preventivo dissuasore per il responsabile e per altri eventuali emuli.
In caso contrario, mai nessun linguaggio, nessuna spiegazione parolaia potrà, da sola, portare il bullo a percepire la grave portata asociale del dileggio, dell’abuso commessi, e a convincersi al desistere. Anzi, accrescerà il suo arrogante disprezzo per le regole.
Le sole soluzioni pietiste della messa in prova a fare il bravo, il proprio dovere, semplicisticamente rientrando a tempo determinato nella comune normalità del rispetto del prossimo e del ruolo scolastico, sono, per sperimentate inefficacia rieducativa e inconcludenza indicativa, false alternative allo scontare della pena e, per qualche verso, addirittura promozionali, nella misura in cui vengono furbescamente intese anche come debolezza di un sistema facilmente attaccabile e violabile a basso costo o a costo zero.
La giovane età del bulletto scolastico non deve indurre nell’errore della generalizzata benevolente comprensione: malitia supplet aetatem (la malizia supplisce alla mancanza di età) un antico brocardo assunto come verità anche dal legislatore a livello negoziale (art. 1425 c.c.). Il perdono può solo seguire la penitenza, il pentimento e il ravvedimento autenticamente accertati. Non prima. Anzi; la preventiva consapevolezza di una sua facile elargizione rischia d’essere un input criminogeno.
Nei percorsi della vita umana, i risultati non sono mai sicuri o calcolabili come in una equazione matematica, ma bisogna lo stesso provarci: per la formazione dei giovani occorrono buoni docenti come occorrono buoni genitori, meglio se di concerto, non docenti e genitori buoni, nel senso della tolleranza e del permissivismo che, spesso, si ritorcono e mietono proprio tra questi le loro prime vittime. E buoni esempi ed un linguaggio idoneo.
Quanto alle famiglie, fucine di vuoti comunicativi, di distorti insegnamenti, di coperture, connivenze e di collusioni conclamate o surrettizie, e ai docenti distratti e omologatori del disimpegno, cultori del comodo laisser courir, ne va assolutamente ripescato – anche ai sensi di legge, laddove latita il senso spontaneo del dovere morale – il senso della responsabilità anche economica nell’educazione e nella vigilanza dei loro figli o alunni affidati, mediante la consapevolezza della puntuale e rigorosa applicazione delle norme di cui all’ art. 2048 c.c. che chiama a rispondere dei danni procurati da quelli. Sì che ciò che nemmeno sfiora cervello e cuore, colpisca la tasca, pedestre punto sensibile dove pare faccia più male e la lezione resti davvero in memoria. Con un più sicuro effetto benefico anche per gli stessi giovani e per la intera società. Tanto per cominciare. Più o meno, secondo me.