PRIMA I BAMBINI!
Torino, Piazza Statuto, 22 febbraio ’18, l’ abbiamo sentita, sbraitava animalescamente “Vigliacchi, dovete morire, mi fate schifo, fascisti”, ha urlato al corteo contro i poliziotti schierati. Brandiva una bocca spalancata, distorta nella rabbia fuori d’ogni controllo, e una bottiglia nella mano. Pare non nuova ad esprimersi urlando così, da ossessa; sembra che la maestra lo faccia anche a scuola, in classe, tant’è che i genitori avevano già raccolto firme per farla allontanare dai loro ragazzini suoi alunni per malasorte. A domanda, il giorno appresso la donna ha ribadito freddamente: “Non mi pento”. Non un improvviso accesso di rabbia, dunque; ma una furia d’odio consolidato e pericoloso. Un’ orda di sue colleghe si è poi dichiarata a sostegno di questa invasata Jean d’Arc del dies irae, rabberciando a mosaico pezzetti di stantii prefabbricati verbali e pubblicando insulsi proclami slogan stile anni ’70.
La violenza incontrollata, la ferocia belluina ha messo le mani sulla civiltà della scuola e della istruzione che le appartiene, sulle istituzioni, sul comune ordine civico ed il suo senso naturale.
In attesa che il Ministero competente prenda le decisioni più congrue, evitiamo di cercare le aggettivazioni che merita questo soggetto, insegnante cui vengono affidati giovanissimi figli famiglia. La repulsa è travolgente. Fa persino male.
Quanta civiltà è passata ed è stata distrutta dall’immagine che con tenerezza portiamo negli anfratti dei precordi e della memoria, di una maestrina dalla penna rossa che imparammo ad amare scorrendo le pagine deamicisiane, a rispettare per la sua maniera d’essere donna, materna, insegnante, simbolo ad esempio di umanità gentile e di nobile servizio a terzi. Molto probabilmente, la maestra Eugenia Barruero, vissuta a Torino in Largo Montebello 38, dove oggi una targa la ricorda. Ma andrebbe bene ugualmente, anche se fosse solo letteratura; non penso di sbagliare molto a crederci. A modo mio. Una specie di bisogno istintivo. Se esiste nelle nostre coscienze, ci deve pur essere stato un mondo diverso, lontano mille anni, alla cui immagine siamo a ricorrere, segretamente per il pudore di non darlo a vedere, per cercare conforto, aggrappati come siamo alla voglia di riparo, forse infantile, forse attorcigliata alle sinusoidi del nostro dna di ultimi sopravvissuti allo sfacelo della barbarie. Che ormai veste persino i panni di un’inguardabile energumena infiltrata nei luoghi sacri dove l’Umanità si trasmette, si perpetua. Una facinorosa, da riserva di quota rosa. Passi la rima. Salvate prima i bambini!