Note a margine n. 468

parolaccia

PERDINCI!

Mandare a mente le tabelline pitagoriche; la fatica delle proverbiali sette camicie degli scolari che fummo. Poi, dovemmo vedercela con le quattro operazioni con l’ handicap della virgola; crescemmo a furia di radici quadrate e cubiche, di potenze esponenziali, formule, teoremi, una lunga compilation di parentesi, equazioni che poco o nulla avevano di equo. Memorizzammo nomi, date, battaglie, capitali. Tutto ob torto collo o quasi. E poi facemmo a nostro gusto e piacere: la parolaccia di circostanza. Diventammo volontari raccoglitori, volenterosi cercatori multilingue dei ‘ti amo’ (agli ultimi tempi che si usava dirlo, timidamente, ma si usava ancora) e della parolaccia che ci portò persino a cena da Cencio a Trastevere dove, tra una portata e l’ altra ce ne dissero di tutti i colori, tra le risate generali comprese le nostre, da bersagliati che, altrove, invece, avremmo reagito a sangue.
Da quando fu sdoganato alla tv ancora puritana nel 1976 da Cesare Zavattini in onda diretta ai microfoni di Voi e io punto a capo, a regia di un imberbe Beppe Grillo, cazzo! fece scalpore e tanto che persino le donne, affascinate, cominciarono a denunciare di esserselo rotto, specie quelle che si vantavano di avere le palle; Pino Daniele cantava di non scassarglielo, ma, in genere la parola rimase sempre nei dintorni dell’ ovvietà. Anche se un barese impreziosì il soggetto col detto a mo’ di avvertimento: me ste a kake u kazze! Un po’ difficile da rendere il senso.
Ma, si percepiva la necessità che la veteroparolaccia dovesse avere un piede nell’ arte, sia pure pop.
Avere una parolaccia prêt-à-porter per ogni occasione divenne una regola condivisa, più stringente dell’ abito scuro, camicia e cravatta in tono. Ma anche un ambìto patrimonio paraculturale, da paraculi. Certo, c’ era sempre il vicariante, paziente vaffanculo che si adatta, il jolly quattro stagioni che ti potevi sempre giocare; salvifico, liberatorio, ma ormai era roba generica che ti lasciava in ombra, nell’ anonimato dell’ anemia intellettuale. Il sessantotto servì pure a questo: a scuoterci dalla pigrizia mentale, dall’ apatia espressiva, dall’ astenia lessicale. Ne scrisse Cosimo Laneve, anni or sono. A partire dai contesti acconci, la parolaccia fu sostituita dalla locuzione breve, sintetica, pittoresca, elaborata: l’ haiku de Noantri, l’ essenza d’ a cazzimme: e andatevi a leggere che cosa sono; donde Belli, Trilussa, Petrolini, Russo, Di Giacomo, etc. trassero vigore. Ma ormai non c’era più l’ effetto scandalo che scuote, sorprende, ferisce. Urgeva – scrisse M. Bachtin – che insulti, urla, oscenità diventassero “portatori di vitalità e di forza prorompente”. Divenne ben presto difficile coniare neoparolacce single che non fossero solo suoni, ma che trasmettessero anche un significato. Le buone maniere domestiche ed extra domestiche mollarono i freni via via che dilagava il principio ‘io sono mio‘ figlio dello stupro consumato ai danni della persona sociale: l’ insegnamento ‘figlio sii sempre te stesso = fai sempre ciò che vuoi. La sgangherata regola del non insegnamento, l’ ignobile abdicazione dal ruolo più serio della genitorialità.
Va be’. Per non dire dell’ uso di certe immagini volgari che hanno sostituito quelle di segno del tutto opposto, specie tra ragazzine alle prese con la gestione del conquistato ruolo sociale: Ti adoro = mi piaci un casino, spontanee, autentiche, disinibite, in sfida continua col passato rifiutato a prescindere.
E poi la stampa: nell’ unico Paese dove i giornali non esitano ad usare nei titoli termini volgari. E infine, il colorito estro popolare che ci ha messo del suo e ha prodotto un florilegio degno di segnalazione letteraria. In culo te c’entra, ma in testa no; Vattela a pijà ‘nder culo de retromarcia; te smonto e do foco alle istruzioni; è uscito fori mejo pinocchio co’ ‘na sega che te co’ ‘na scopata. Ce fatto a’ uallera a’ pizzaiola; m’ par’ na mutand’: staj siemp’ annanz’ o’ cazz’…; figghiu di na gran truscia che denti rutti e u culu spunnato ppi quanti voti sa fici ‘ntappari nda facci e ‘nda carina!!!; spera ‘Ddiu ca t’ a vveniri ‘nfrùsciu ca a gghittari fora magari l’ugna de pedi e mi ti s’ anu a scuagghiari i pila do culu ppu sfozzu!!!
Perdinci!

Pubblicità
Questa voce è stata pubblicata in Uncategorized. Contrassegna il permalink.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...