Note a margine n. 467

cacca

SARO’ VOLGARE

Va preso atto che il crescente e diffuso dispotismo lessicale del politically correct imposto dal manierismo del pensiero dominante ha attecchito e ramificato pur senza adeguate o consistenti radici. Come ha potuto? Non certo per sua oggettiva valenza, ma per via dell’ eccessivo provincialismo, deferente e condiscendente, mostrato nei suoi confronti dalla massa gregale che scioccamente si riteneva (e si ritiene) obbligata a conformarsi e ad adottare come sua norma di condotta una serie di regole – diciamolo, in parole povere – stronze.
E’ il tragico effetto del lustro ricevuto dall’ assist di leggi, sanzioni e giurisprudenza marcatamente ideologizzate. A chi vive in questo nostro sciagurato Paese, non bastavano il peso di una legislazione obesa con l’ aggravante di una burocrazia affamata di circolari applicative e le stabili incertezze di un Diritto costantemente sotto schiaffo di frequenti interpretazioni con effetto retroattivo e sorprendenti dichiarazioni di incostituzionalità ‘nella parte in cui’.
I termini ‘sessismo‘ e ‘razzismo‘ sono diventati due discariche a cielo aperto dove può andare a scaricarsi comodamente ogni espressione scritta o orale, ogni argomentazione che non garba all’ interlocutore o lo lascia senz’ altro tema dialettico.
Per quanto posso rammentare, nemmeno i termini ‘fascismo‘, ‘antisemitismo‘, ‘manicheismo‘, e altri ismi del cazzo, usati come armi improprie da ogni minus habens razzolante nelle storiche latrine lessicali della idiozia polemica, ebbero, all’ apice del loro massimo conformismo, tanta rilevanza quanta se ne attribuisce oggi alla coppia “attenti a quei due”. Una strana coppia che ormai primeggia nell’ Olimpo dei prefabbricati mentali e che, per via della fecale prepotenza di certi disinvolti culi scrannoseduti, decreta persino nel linguaggio, laddove, p.e. impongono – non si capisce in base a quale presunto potere – di coniugare al femminile e di bandire severamente termini rimasti ora, in originale, soltanto nel chiuso dei dizionari ed enciclopedie. Sarà una maniera di volersi creare uno spazio d’esposizione in vetrina nello zoo delle meraviglie, lasciare un segno di sé in questo mondo di fideisti o cagasotto pronti a copiare obbedendo, allineandosi.
E’ tanto il terrore che suscita la facile accusa di sessista o di razzista, che oggi, qualunque sia l’ argomento da trattare, ogni coglione si sente obbligato a mettere prudentemente le mani avanti, anzi una: l’ altra se la mette dietro per ripararsi il culo: Tengo a precisare, premetto che non sono razzista…A futura memoria, non si sa mai. Unico razzismo ammesso è quello antitaliano. Tutti possono essere orgoglioni della propria nazionalità, tranne gli italiani, se no sono razzisti. Dio non voglia. Sarò volgare: cose che fanno cagare.
A proposito, ho appena raccolto l’ ultima: si parla di una class action dei papponi e ricottari che, ex art. 3 della Costituzione, si sentono discriminati rispetto agli ex ricchioni e ex froci, agli ex zingari, agli ex negri, già ampiamente tutelati come categorie protette; per non dire dell’ iniziativa dell’ ENPA che, a tutela della dignità degli animali, intende ricorrere al Strasburgo per inibire l’ uso offensivo e improprio del termine “zoccola” in riferimento a certe persone che, o solo per vocazione spirituale o tramite organo acconcio orogastroenterico, professano, abitualmente o occasionalmente senza partita iva, attività particolari rientranti nella tab. merceologica in diatesi di “zoccolame”. Malgrado il riserbo, la notizia – chissà come trapelata – ha già messo in subbuglio i lontani discendenti di Ilio che, giustamente, non intendono mostrare acquiescenza all’ uso spregiudicato di ‘troia‘ attribuito a donne di poca gloria e di ‘troiame‘ al loro ensemble.
Gira negli studi tv nostrani, in queste ore neotrumpiane da biblico dies irae, “Giorno d’ira quel giorno, giorno di angoscia e di afflizione, giorno di rovina e di sterminio, giorno di tenebre e di caligine, giorno di nubi e di oscurità, giorno di squilli di tromba e d’allarme sulle fortezze e sulle torri d’angolo”, una faccetta abbronzata, ancora caruccia, e che si è allenata allo specchio a intercalare all’ interlocutore, a litania e a cazzo, una battuta tipo “So che è dura dover guardare negli occhi una come me, di colore, e ammettere che è cittadina italiana”. Una mediocre furbata polemica ad effetto pour épater le bourgeois e mettere soggezione a qualche sprovveduto insinuando un razzismo surrettizio; ma forse, anche per nascondere una punta di quei fastidiosi complessi che si dissimulano alla men peggio, ma rodono e rendono aggressivi. E ridicoli, persino. A caldo, qualcuno ha anche replicato ‘questa è matta‘; e se non ci ha preso nel segno, ci è andato vicino. So che è dura doverlo ammettere.
La smettano di giochicchiare con le parole. Non tutti i cittadini italiani sono italiani, come non tutti gli italiani sono cittadini italiani. Chiacchiere e tabbacchere ‘e ligno, ‘o bbanco ‘e Napule nun s’impegna.

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4 risposte a Note a margine n. 467

  1. Jeep ha detto:

    Va be’, non sarà il massimo della finezza, però è una bella cozza.

  2. Manfredo ha detto:

    Vi immaginate che cosa sarebbe successo se, invece, la frase fosse stata pronunciata dalla interlocutrice: “so che è dura dover guardare negli occhi una donna come me, bianca, e ammettere che è italiana” ? Che Paese di pecoroni!

  3. Benedicta ha detto:

    La trasmissione l’ ho vista pure io. Ma quella è proprio rabbiosa!

  4. Aldo ha detto:

    Tutto vero. Mi piacerebbe sapere il nome della tizia, anche se una certa idea ce l’ ho già. Una bella donna sprecata…

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