SAMBA DE UMA NOTA SOL
…ovvero quelli che scrivono un libro. Dove ‘un’ non è articolo indefinito, ma numero; insomma, giusta perché non residuino dubbi, un libro solo.
Che, spesso, visti i risultati, sarebbe cosa da apprezzare, nel senso che non repetita iuvant: e, tanto per strafare, errare umanun est, perseverare diabolicum, et tertia non datur. Sennonché, non si può dire lo stesso dell’ autore, autentico campionario di una fenomenologia del divenire a segmentazione multifase, un caso umano che merita molta più attenzione dell’ opera, diciamo, ‘al verde’, tanto per non far torti a quella ‘al nero’ e quelle successive ‘al rosso’. Chapeau alla statura di Marguerite Yourcenar, casquette a quella rubizza di Federica Mazzeo che non si sa se abbia letto la precedente rubiconda di Giovanna Pandozy. Sorry, forse ne dimentico qualcuna. Torniamo ‘al verde’, nel senso della speranza.
Non parlo di raccolte di poesie e dintorni: quelle spuntano o fanno finta, poi, se ci hai un poco di soldi, ti autofinanzi, te le pubblichi in poche paginette, e poi venga come viene; qualcuno a cui regalarle lo trovi; in cambio ti accontenti della sua promessa di leggerle. Poi lo intravedi cambiare strada se lo scorgi venire verso di te; non è preparato alla fatidica domanda. Sospiri, sei un poeta, comprendi chi non comprende; è l’umanità.
Qui, invece, parliamo del romanzetto; che ci hai messo più tempo a correggere le bozze che a scriverlo con la connessa difficile pazienza di rileggerlo, e non sempre hai avuto il coraggio di eliminare parole inutili, ridondanze, cascate di aggettivi, insomma fogli interi, quando occorreva farlo. Si sa, a furia di scorciare potrebbe non restare niente. E invece tu non vedevi l’ ora di racimolare un mucchietto di pagine, il minimo sindacale per la pubblicazione. Di trasformare in materia da toccare lo spirito che ti pervadeva.
Il difficile davvero è stato il passo successivo; stampare la copia cartacea ed il file sono roba da niente rispetto alla ricerca dell’ editore con accompagnamento di segnalazione che fatica. Qui si vedono gli amici; e gli amici degli amici.
E voilà: alla fine il sospirato contrattino editoriale, sogni di gloria accennati dall’ editore che nel tuo lavoro ci ha trovato un valido messaggio, una scrittura forte e attuale, e vuole rischiare con te – dice – per te, dice, ti taglia persino le sue spese al minimo e ti sbologna uno stock minimale che gli hai pagato cash per coprirlo subito di costi e di utile, in cambio di un tot ‘copie omaggio’ per te che autogestisci a piacere, distribuzione, percentuale sul venduto in libreria. Per la presentazione nei posti giusti, dice, ti do una mano ma te la vedi tu, come pure provvedi per una lettrice, perché non te lo vuol dire in faccia che a te manca anche anche la strumentazione simplex.
Muovi mari e monti, e poi salone del libro tra uno folto stuolo di rampanti, dopo un giretto in provincia preannunciato nella catena di S.Antonio di fb, arrivi al salotto della libreria buona che se non è la felicità ci va molto vicino. Per l’ annuncio sul quotidiano locale hai fatto appelli a gogò, ma alla fine ce l’ hai fatta, magari l’ editore ci ha le sue strade. Quanta angoscia nell’ attesa, ma l’ euforia carica, aiuta.
E mo’, dopo tutto questo casino, non vogliamo dire che è normale una certa stanchezza? E poi che dire del clou: la sindrome del libro unico? Che affligge l’ autore unico come la mamma del figlio unico. Capace che ti sei convinto che hai fatto un capolavoro; mo’ lo devono solo comprare, leggerlo, e capirne il senso profondo del messaggio, della forza delle tue idee. Che già in copertina ci hai sbattuto un titolo ben ragionato, scelto tra gli standard del secolo, un evergreen che persino l’ illustre prefatore all’ inizio è rimasto senza parole e poi ha dovuto riprendere in mano la situazione per scrivere in tempo ciò che in questi casi si scrive comme il faut. E così hai gettato l’ esca pure tu nelle acque torbide della storia, seconda guerra mondiale, della pace, fraternità, solidarietà, amore, etc. etc. Magari, per via dell’ età, non ne sai un cazzo o quasi. Però l’ hai detto a modo tuo.
E’ samba de una nota sol: il peggio della sindrome del monoscrittore è quello di sentirsi scrittore. Impegnato. E magari te la sei andata pure a cercare, ci tenevi assai, magari ci hai messo in gioco una bella fetta del tuo tfr per alleggerire la tua anima di messaggero parlante alle coscienze, per dare corpo a quella tua incontenibile ispirazione, all’ anelito di trovarti un posto là dove avevi provato con la scorciatoia della poesia. Mo’ sanno di te finalmente; ma le percezioni personali ti appartengono: per capirla, la sensazione della notorietà, nel proprio piccolo, bisogna provarne l’ euforia. Inebria e ti fa pensare pure a dargli un fratellino a ‘sto figlio unico. Ormai, sai che puoi.
Va be’; dopotutto, pure Manzoni, ne scrisse ‘uno e tieni’. E, per questo, nessuno gli ha mai negato niente. Prima che sopraggiunga la depressione, goditi questo momento.
Michele, e se il fratellino nasce scemo?
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