IL TRIONFO DEL DIRITTO (p.s.non la commedia di N. Manzari, 1957, che fa ridere)
Spiaggia di Vittoria; clandestino indiano con diversi precedenti penali e foglio di via obbligatorio si porta via una bambina di cinque anni stringendosela all’ ascella, ma durante l’ esecuzione dell’ impresa, prima che sparisca del tutto alla vista dei genitori, lo inseguono e lo beccano prima che si defili tra la gente o si infili magari dentro una macchina in attesa nei pressi. Fermato dai CC, è portato innanzi alla giovane PM che subito lo rimette in libertà. La gente s’ incazza, la famiglia della bambina vomita, la stampa ringhia, il Ministro competente fa la faccia brutta di circostanza. Uffa, fa caldo, ma contrordine: vasta e lunga battuta dei CC per rintracciare lo scherzoso monello debitamente intanato, lui e la coscienza pulita. Lo ribeccano e qualche fesso si aspetta davvero un ripensamento, magari per fatti nuovi o non esaminati prima. Riportato innanzi alla stessa PM, costei gli fa circa sette ore di domande (nuove, vecchie? boh) che non sappiamo, e poi lo rimette in libertà a conferma che il suo primo provvedimento era ok, professionale doc. Mo’ s’ indignano colleghi e sindacali di categoria: lo vedete che aveva ragione la PM? La legge è legge: e qui non è previsto l’ arresto. Il suo capo tuona: dovevate encomiarla, invece, per aver fatto bene il suo lavoro: L’Anm stigmatizza gli “attacchi inaccettabili”, frutto di un “…approccio superficiale agli accadimenti, determinato dalla non conoscenza degli atti e dei presupposti di legge che hanno portato alle scelte della collega”, con l’ unica conseguenza “quella di non consentire ai magistrati della Procura di Ragusa di svolgere il proprio compito nel giusto clima di serenità”. Insomma, quasi una interruzione di pubblici uffici. Più o meno così si sintonizza anche la corrente di Magistratura indipendente che reputa gli attacchi «strumentali, volgari e ingiustificati» e cala il carico da undici e cioè ai magistrati tocca applicare le norme mentre «le giuste richieste e le legittime aspettative di sicurezza dell’opinione pubblica devono essere rivolte a chi ha il compito di redigere le leggi». Tutta la categoria si dichiara fiduciosa dell’esito degli accertamenti promossi dal ministro Andrea Orlando e gli chiede anche (insiste Mi) di «condannare il discredito e la delegittimazione derivanti dalle espressioni pronunciate anche da soggetti che ricoprono ruoli di responsabilità». Per ora, il Csm si cautela nel silenzio.
Il popolo superficiale nell’ approccio, volgare e discreditante, opportunamente intimidito per la invocata condanna, bestemmia in pectore e rimpiange di non avere pure lui un Sindacato di categoria che lo protegga nel bene e nel male, in salute e in malattia, insomma un Sindacato doc che sappia salvaguardare faziosamente solo gli interessi del cittadino. Forse questa sarà l’ occasione giusta per farne uno comme il faut e prendere tutti la tessera.
Qualcuno tra la plebaglia ignorante, sentendo parlare di ‘fare bene il suo lavoro‘ pensa di nascosto: Ecco la vera faccia del problema; ma fare il magistrato può consistere nel fare semplicemente un lavoro? Teme scioccamente che questa sia una concezione molto pericolosa che può portare a esiti aberranti. Pensa che noi del popolino così arrogantemente disprezzato, forse, non conosciamo i tecnicismi dei sacerdoti magistrati, che abbiamo davvero “un approccio superficiale agli accadimenti determinato dalla non conoscenza degli atti e dei presupposti di legge che hanno portato alle scelte…”, ma crede anche che chi procede così certamente forse mostra di non conoscere il senso concreto del vivere. Summum ius summa iniuria: e questo non lo dico io che sono un vecchio peone sottomesso, ma qualcuno che di diritto ne capiva veramente. E i tragici reiterati fatti d’ ogni giorno connessi ad una meccanicistica amministrazione della legge ci danno ragione.
Qualche altro, magari uno che ha fatto le scuole medioalte o uno che magari ci è passato in proprio nell’ esperienza, ma sempre volgare e approcciato, e sempre in gran segreto, sospira: ah, se almeno conoscessimo il testo della successione delle domande e delle risposte dell’ interrogatorio – ma perché non si era fatto prima?- durato circa ben sette ore, ne potremmo capire meglio il senso che, in teoria, potrebbe essere inarcato ad ratificandum o ad opponendum di un comportamento o di una precedente decisione. Ma non lo sapremo mai. E qui si appalesa la vera misura etica di un metodo che sottrae la conoscenza proprio a noi popolo italiano nel cui nome viene dichiaratamente esercitata la giustizia. E – abituato a pregare segnandosi “Nel nome del Padre….” – non capisce perché lo coglionano così, che lui popolo è ma fesso no, e pensa ad un blasfemo scimmiottamento della formula sacra, in attesa di essere cancellata del tutto per non offendere gli offendibili.
Mah; elucubrazioni, voli rasoterra di chi non riesce ancora a capire perché giustizia e legalità debbano essere confuse. Sarà il sole; fa sempre più caldo.
Nel frattempo l’ indiano fa l’ indiano; ha persino denunciato di aver ricevuto minacce e vuole protezione in attesa di essere aiutato ad andarsene con tutto comodo. Poer nano! Forse, anche lui chiederà i danni. Dura lex, ma quanto dura?
Egr. prof. Lamacchia, Lei è uno dei tanti superficiali e approcciati per difetto ( questo lo aggiungo io ). Mi capisca, se può, e mi faccia solo un cenno con la testa. Andare a scomodare l’ archeologia del diritto: ma cosa mai le viene in mente!?
Caro Fernet, forse intendevi dirmi che sono approssimato per difetto, e ci sarebbe stato bene perché ormai sono ‘ per difetto ‘ in molti ‘ati’, (almeno quasi come da giovane lo fui ‘per eccesso’) che quasi quasi ci tengo, anzi, ci tesi già da tempo. Tuttavia, per ora, voglio tenermi caro l’approcciato che, come riconoscimento, anche se non è dernier cri, mi suona bene, a pelle e chissà perché.
Forse perché circola ancora qualche epididimo che si impressiona di brutto a sentirselo dire e qualcun’ altro che crede di impressionare a dirlo. In effetti, però, riflettendoci, forse è vero: minus dixi quam volui?
Concordo con Aldo. Meglio conoscere i fatti concreti che gli atti i quali si possono fare e disfare come vuole l’autore che, pure non volendo, potrebbe sbagliare. La vera giustizia necessita della verità e non di ciò che risulta dagli atti. Sia pure approcciato volgarmente pure io, Salve.
Caro Prof. Lamacchia, mi perdoni l’ approccio superficiale e volgare, ma nel mio piccolo penso che sia necessario conoscere i fatti e non gli “atti” che sono il risultato di un insieme di elementi che si è voluto scrivere e che non si è voluto scrivere, e che non garantiscono la verità fattuale. Non avremmo atti-sentenze completamente ribaltate. Naturalmente, sempre nel mio modestissimo piccolo popolare e di nessun conto. Forse l’ indiano era da encomiare e noi popolino non lo abbiamo capito. Che dire: un auspicio: provare per credere…Ciao ciao