LA GRANDE ILLUSIONE
Si sa: l’ eternità, l’ eterna giovinezza sono idee che ormai da tempo hanno abbandonato lo spazio che avevano occupato abusivamente nel cuore dell’ uomo. Ne ha preso il posto un surrogato ma ancora più ingannevole perchè ci sembra più accessibile, più alla portata di mano della nostra fragilità, della nostra congenita caducità: la speranza di non essere mai dimenticati.
Per molti l’ unica fede vitale è per la tecnologia; affidarsi a questa è l’ unico credo che sembra poterci dare conforto, frughiamo ogni giorno tra i vari comunicati scientifici per trovarvi un appiglio consolatorio, un rimedio capace di darci la promessa o la prospettiva di un altro respiro. Uno più lungo, specialmente quando quello che abbiamo ormai da tanto tempo è logoro e lo sentiamo farsi corto ogni giorno di più.
Ma, anche se istintivamente diffidiamo, gran parte di tutto ciò che facciamo è in funzione di questa grande illusione: la speranza che ciò che proviene da noi e che ci sopravvive possa incarnarci e darci per presenti nella memoria di chi resta. Che ciò avvenga o non avvenga davvero, dopo, non ci servirà a nulla; oggi, invece, il crederlo ci dà un aiuto, una spinta, coraggio; e ci motiva, anche, oltre le contingenze, ci avvicina ai nostri ideali.
Ma tra le nostre opere, quelle di valore – a qualunque settore della vita esse appartengano – avranno una autonoma identità, una vita propria e testimonieranno solamente se stesse quando si presenteranno all’ apprezzamento della storia. Forse ne avevano più coscienza gli artisti dei tempi passati che non firmavano i loro lavori.
Nemmeno attraverso i nostri figli, per quanto ci abbiano amati in vita, riusciremo a far sopravvivere un po’ di noi; forse, per questo istintivamente li avremmo voluti il più possibile come noi.
Sapere di dover essere dimenticati ci fa sanguinare il cuore, ci da il senso aggiunto della fine della fine. Ci dibattiamo, ci ispiriamo, studiamo, inventiamo. Aneliamo a essere autori di un capolavoro. Ma servirà a poco: al massimo un paio di generazioni. Getteranno le nostre cose più care e intime per fare spazio alle loro che raccoglieranno care per loro.
Noi, per un poco saremo un ricordo, breve o lungo, ma comunque destinato a sbiadire, a finire.
Per non finire, proviamo persino a scrivere qualcosa nel cuore di qualcuno, nella parte dove si può scolpire. E accontentiamoci di quello che potrà essere. Il nulla verrà comunque. E verrà a suo modo.
Il concetto di eternità si trova ben ancorato nel profondo
del cuore umano, cioè dell’uomo in quanto persona in rapporto
al senso della sua vita.
Tale concetto o visione, presente in tutti gli uomini e che li spinge ad andare
oltre ciò che è caduco e passeggero, spiega il dinamismo della cultura, dell’arte, della
scienza e delle religioni. Un motore fondamentale,in effetti una benedizione per la
crescita e l’evoluzione a tutti i livelli.
Quando entreremo nel padiglione dell’ oltre, il nulla eterno ci verrà incontro e ci accoglierà; e ci dirà da che parte andare. In quanto vivi, mi sovviene una famosa battuta di Totò: ” Scusi, ma per andare dove vogliamo andare da che parte dobbiamo andare”?
Da vivi cerchiamo di barcamenarci, anche con l’ironia…che è a volte un meraviglioso atto di coraggio.
E ci sono casi in cui ci illudiamo che le nostre aspettative altro non erano che mere illusioni, e poi invece, quasi all’improvviso, scopriamo che erano soltanto in ritardo. Il Tempo scappa via sempre piu’ veloce, l’ Uomo accelera il passo ma non ce la fa ad acciuffarlo.
Non sono d’accordo con Aldo. La parola è bellissima proprio per il suo mistero, affascina, fa sognare…e poi, quando ci si accorge che è una fregatura è già troppo tardi e non si ha nemmeno il tempo di soffrire. Saluti a tutti
Prof. Lamacchia, ecco un bell’ argomento che interessa molti e così si rileggono i commenti che da tempo non si vedevano. E’ evidente che è una questione che ci tocca tutti da vicino, specialmente quelli di una certa età. Eternità? ecco una parola che non dovevano nemmeno inventare. Ciao!
“…e mi sovvien l’ eterno…”Anche Leopardi nell’ Infinito ci ricorda che tutti portiamo dentro una briciola di eternità. L’ uomo ci pensa spesso; non sarà solo per caso questa nostra inclinazione a pensarci, a porci delle domande, a cercare risposte. Ma invano.
Bravo Professor Lamacchia,l’argomento è scabroso ma lei lo ha trattato centrando subito il punto dolente. e con grande umanità.
A rileggerla presto
E sì, sono riflessioni che prima o poi nella vita si fanno e, senza rendercene nemmeno conto, si traducono in un senso di disagio, di tristezza, e noi magari non sappiamo nemmeno perchè. Lei lo spiega molto bene scavando nell’ animo umano.
Mi sembra di aver letto da qualche parte, in qualche sua biografia, che oggi o forse domani è il suo compleanno. Allora: auguri professore!!!!
Cari saluti!
Professore carissimo,
mi perdoni se da tempo non ho commentato i suoi scritti. Li ho letti sempre, tuttavia, lontanissina dall’ Italia e affaccendata in una mare di cose indescrivibili..
Le sue ultime note sono di una sublime malinconia ed esprimono una verità dolorosa per chiunque abbia un minimo di senso della vita più ampio di una sola giornata. Carpe diem? io appartengo alla razza dei carpe vitam, lei mi capisce.
Continui, la prego…
un abbraccio
Benedicta