LA VITA E IL MARTIRIO PER LEGGE
Sin dal momento in cui un essere umano viene alla luce (e, in alcuni casi, anche prima, durante la gestazione) egli acquisisce il diritto naturale ad esistere, a stare al mondo, prenderne benefici e oneri.
Questo suo diritto fondamentale ed essenziale che precede ogni altro, comprende necessariamente quello alla sua integrità fisica e morale, a procurarsi e disporre dei mezzi per vivere e per sopravvivere, quello di scampare i pericoli tutelando la propria persona, il proprio nucleo famigliare (altra realtà naturale a lui strettamente connessa) e i mezzi di sopravvivenza di cui ha saputo e dovuto dotarsi.
Da parte del prossimo e da parte dello Stato, il riconoscere e il rispettare il principio fondamentale la inviolabilità della vita e dell’ integrità dell’ essere umano, significa anche riconoscere e rispettare il principio fondamentale della inviolabilità della sua famiglia, suo nucleo sociale minimale, e dei loro mezzi di sopravvivenza. Mai, nella storia dell’ umanità vi è stata una società, dalla più primitiva alla più evoluta, in cui, sia pure con divieti o con limitazioni, si siano disconosciuti detti essenziali diritti e la loro protezione.
Tuttavia, anche in una società ben organizzata, dove normalmente questa protezione è affidata ed esercitata dall’ autorità costituita (in genere, mediante una vigilanza preventiva e mediante l’ emanazione di regole dissuasive che vietino e sanzionino i comportamenti pregiudiziali della vita, della integrità fisica e morale dell’ individuo e dei suoi beni), si verificano ugualmente casi di aggressione a questi diritti, quasi sempre con danni irreversibili e non ripristinabili. Sì che la vittima e suoi congiunti restano colpiti da pregiudizi incancellabili, a partire dalla morte, via via fino ad ogni forma di violenza.
Consapevoli della materiale impossibilità di un tempestivo impedimento di ogni crimine, tutti gli ordinamenti giuridici non hanno potuto che prendere atto del diritto naturale di ogni individuo a scampare ai pericoli, a proteggersi e proteggere dagli attacchi le ‘sue’ persone e le sue cose. E intervengono per regolamentare l’ esercizio di questo diritto che, pur essendo rapportato a uguali interessi comuni ad ogni essere umano in quanto tale, viene molto diversamente disciplinato da Stato a Stato, a seconda della considerazione e del rispetto che di tali interessi ha il legislatore. Al quale spetta il compito di contestualizzare con concretezza le leggi affinché queste abbiano efficacia ed efficienza, e non quello teorico di affermare inutilmente vuoti principi.
Ne consegue che vi sono Stati in cui il diritto a proteggersi dal crimine è considerato primario e assorbente, ed altri in cui questo diritto è stato talmente limitato da norme fortemente restrittive da risultare praticamente non esercitabile. Con la conseguenza che questo non è più considerato un sacrosanto e naturale diritto difensivo, ma addirittura come un crimine e, quindi, punibile alla stessa stregua dei crimini offensivi, a meno che non si provi rigorosamente la ricorrenza di ‘condizioni di non punibilità’. Condizioni che, molto spesso, quando non vengono praticamente e concretamente definite dalla norma, incappano nella valutazione interpretativa del giudicante il quale, a posteriori, può ‘legittimare’ o no la difesa, troppo spesso con effetti disastrosi in danno di chi viene processato per essersi protetto o per aver protetto da una aggressione ingiusta. In genere, colpito due volte: prima aggredito in casa dal criminale e poi condannato in aula dallo Stato; addirittura, anche se egli ha solo tentato la difesa.
Nel nostro Paese, in preda ad un crescente dilagare di violenze specialmente quelle cosiddette ‘domiciliari’ da parte del criminale che, notoriamente, qui viene a delinquere per approfittare dei vantaggi che gli derivano dell’attuale debolezza normativa in tema di autodifesa e da un singolare protocollo giudiziario, si impone urgentemente una nuova legge che sia davvero e concretamente fondata sull’ inviolabile e prioritario principio dell’ autoprotezione come diritto naturale ed essenziale dell’ essere umano e che non lasci spazi per fantasticherie interpretative.
D’altro canto, nessuna minaccia di pena giudiziaria potrebbe mai indurre qualcuno a subire passivamente una violenza senza almeno tentare una naturale reazione di difesa.
La difesa è diritto naturale dell’ uomo; per escluderlo e per condannare chi si è protetto da una comprovata aggressione, occorre che sia l’accusa a dimostrare che non ve ne fosse necessità o che vi fosse un valido, concreto rimedio alternativo, una concreta possibilità di lucida scelta per arginare utilmente l’aggressione stessa con mezzi meno cruenti di quelli adoperati dall’ aggredito. La legge non può imporgli il martirio.