NE BIS IN IDEM?
VENGA A PRENDERE NU BELLE CAFFE’, scrissi qualche giorno fa nelle mie note n. 420. Parlavo di Ermes, un misero robivecchi arroccato in una misera casetta in periferia tra i metalli che, come unica sua risorsa, raccoglieva per strada e ammassava in cortile e che rivendeva per tirare a campare. Tanta miseria, malanni e l’ invalidità per una gamba di legno. Già derubato venti volte in dieci anni e poi pluricondannato per il reato di tentativo di sopravvivere e difndersi: dalla sorte mai abbastanza maledetta, dai ladri assalitori sempre più arroganti e disposti a tutto per la immunità acquisita dalla giurisprudenza, da tribunali non abbastanza umili per farsi buoni interpreti della vita altrui, dai due delinquenti “tentati uccisi” da una fucilata disperata e considerati “parti lese” in aspettativa di far soldi a titolo di lucroso risarcimento loro riconosciuto, e poi dall’ estremo dolore che tanto peso di ferocia in pochi riuscirebbero a sopportare stoicamente senza danni. Quante dure condanne per un uomo solo! E poi dicono: ne bis in idem! Giustizia è stata fatta? Chi se la sente di dire per primo “bravo!?
Fu una sentenza di morte lenta, in sostanza. Dopo pochi giorni Ermes è morto di tradimento e di abbandono rigorosamente vietato dalla legge persino nei confronti di un cane. Forse soltanto la morte, quella vera che non si fa amministrare da nessuno, lo ha assolto con formula piena e lo ha sottratto per sempre al truce calvario che sarebbe seguito. Lo sapeva che non avrebbe mai potuto pagare la somma di ben 135.000,00 Euro di risarcimento che era stato condannato a versare a gente che non scherza, e ben poteva immaginare l’ inferno che lo attendeva.
Ora è umano attendersi che qualcuno si riscatti morendo di vergogna o svergognato dal disprezzo, sputtanato dal discredito? Non serve cercare lontano per intuire gli artefici sabotatori delle nostre più elementari libertà, dei più sacrosanti diritti di esseri umani e di cittadini. Intervistato in tv subito dopo la notizia della condanna, ebbe il coraggio di confessare: “Lo rifarei”; fu la sua estrema reazione di protesta contro un nemico che non lo aveva piegato alla resa, alla rinuncia al al tentativo di difesa della propria vita.
Si ammetta o no, ma la sua morte – indotta a quest’ uomo con la cieca violenza e la subdola ipocrisia che soltanto l’onta della ingiustizia sa inferire – ricada con tutta la cruenza possibile, rianimandolo, su quel residuo di coscienza di chi non ha ancora perso del tutto il senso della realtà ma tende, senza il freno della necessaria umiltà, a promuoversi infallibile interprete, dispotico regolatore della vita degli uomini e della società civile.
Lo strazio così indotto ed il sangue così versato testimonino una ferocia non attribuibile al nome del popolo italiano e che spaventa a morte solo i miti, gli onesti, i probi, e sostiene i malvagi, in pratica favorendone i peggiori istinti. Ai primi sottraendo la sicurezza spettante e le necessarie prospettive di vita; ai secondi attribuendo altra forza attraverso la diffusa idea della immunità e della intoccabilità.
Oggi, dopo la morte di Ermes in solitudine anche per mancanza di una famiglia e parenti, qualcuno prova scherzare amaramente; la sua povera casupola ed il materiale da lui raccolto nel cortile andranno a soddisfare il risarcimento cui era stato condannato in favore dei suoi aggressori dai quali aveva tentato di difendersi. E costoro, in pratica diventeranno suoi eredi universali. Pare che abbiano addirittura brindato al suo funerale, Giustizia è fatta.
Quando si e’ presi dallo stupore non si sanno dire parole, se ne sono scappate via dalla bocca rimasta un poco aperta. E Mattielli vaga ormai per altre strade alla ricerca della Suprema Corte del Cielo Celeste. In terra pero’ si faccia del tutto perche’ il luogo del suo vissuto diventi almeno un giardinetto, con qualche bell’albero e qualche sedile, ed una Sfera di Rame con il suo nome, alla memoria.