Note a margine n. 417

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NON E’ ANCORA TROPPO TARDI

La rissa conclamata cui fa riscontro il segreto mercimonio dei pusher del voto alla borsa nera, non ci rende nemmeno per larghe approssimazioni la misura e la consistenza del nostro attuale Parlamento così lontano anni luce da quello conquistato a caro prezzo, voluto e realizzato da uomini che, in questo scosceso pendio di decadenze valoriali, disegnano ombre di giganti.
Eppure, pochi ne hanno consapevolezza; e ancora meno sono coloro che sanno leggere tra i nomi dei Padri Costituenti il timbro della sacralità che sancì e poi accompagnò negli anni quella Carta garantendole il senso del giuramento solenne lasciato nelle mani del Popolo Italiano finalmente liberato e restituito alla sua identità sovrana e religiosamente riconosciuta inviolabile.
E tra questi pochi, per quanto ci è dato di cercare, non riusciamo a ritrovare coscienze di governo che, al culmine di un’ autoesaltazione da personale onnipotenza che li induce contraffare la nostra identità e ad adulterare il corso della nostra storia, dispongano di quel necessario rispettoso riguardo dovuto al Popolo, unico erede legittimo di un patrimonio di principi, diritti e doveri inattaccabili, indisponibili.
E così accade, invece, che in una congrega raccogliticcia e neanche mai legittimata, né per nascita né per successivo riconoscimento da parte del Popolo, unico avente diritto, ma soltanto ratificata con successivo arzigogolo di comodo, oggi partiti, fazioni e correnti, con sfrontata temerarietà si stiano goffamente contendendo il diritto di appropriarsi arbitrariamente ancora una volta della volontà del Popolo, farsene interprete abusivo e sostituirlo nella scelta di rilevantissime modifiche di riforma al suo patrimonio della Costituzione Repubblicana. Che non può e non deve essere considerata un molok intoccabile, tanto che la stessa Carta prevede le possibilità delle proprie modifiche; le quali, tuttavia, quando intaccano l’ esercizio della unica sovranità che è quella popolare (e tale è l’abolizione del Senato eletto dal popolo), proprio in ossequio a tale principio, non possono seguire le consuete strategie-stratagemmi da taverna ormai tipiche delle formazioni delle leggi ordinarie spuntate su maggioranze momentanee, d’accatto, scambi di interessi mercificati. Sostanziali modifiche del Senato, Camera elettiva destinata a farsi legittima portavoce della volontà del Popolo, o addirittura la sua pratica abolizione, non può essere oggetto di bagarre da cortile, ma deve ancor più rifarsi al senso della effettiva volontà dell’ unico avente diritto: il Popolo. Ormai figlio derelitto e disconosciuto; un pezzente fatto cadere in miseria e da mettere, poi, davanti all’ineluttabile fatto compiuto.
Eppure, la sfrontatezza e la truculenza del potere sono ormai tali che i suoi maneggioni hanno addirittura coniato un termine dispregiativo per stigmatizzare a proprio favore e irridere ogni voce di denuncia di violazioni inferte al popolo: populismo. Mentre, circa otto milioni di italiani poveri, o alla soglia della totale povertà, infatti, abbandonati al loro destino, devono subire ogni giorno anche lo scherno di una manica di parassiti incapaci e di operatori nel cono d’ombra della corruzione, e la irrisione in danno di coloro che hanno il coraggio di denunciare pubblicamente il tragico fenomeno e il tradimento di quelli che distraggono indiscriminatamente enormi risorse pubbliche solamente a favore delle imprese private del business immigrazione. Malgrado i grandi scandali già accertati nei loro intrecci mafiopolitici. Ma, se altrove si tagliano le gole, qui ormai si tagliano le lingue e si conculca con rigore il pensiero. E il cuore sanguina.
Si restituisca al Popolo la sua dignità; subito. Molto presto, sarà troppo tardi.

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