Note a margine n. 416

tu

TU SEI UN PUNTO DI ARRIVO

Per cortesia, solo per cortesia, mi facciano la grazia di non darmi del tu. Mi mette a disagio, mi sconvolge al ribasso quel minimo sindacale di serenità che mi resta. Mi costringe a rimuginare, a ipotizzare, a immaginare; un surplus di sforzo storico per cercare di rammentare quando e come ho dato motivo di confidenziarsi con me in modo amicale. E il corollario dell’ immancabile senso di colpa: o di non essere capace di rammentare, di essermi perso qualche passaggio importante o quello di dare per scontato che qualcosa, qualcosa devo comunque aver fatto – potrebbe essere colpa della mia pochezza – per meritarmi il tu di ritorno da parte di uno che, magari, non conosco, conosco poco o uno a cui do del lei come da mia generalizzata abitudine al rispetto.
Non sono il tipo che – non trovando nella memoria agganci di un vissuto amicale che giustifichi questo massimo avvicinamento lessicale – va sparato, diritto a pensare che, invece, quell’ uso spregiudicato del tu da parte di chi non è né amico né parente è solo frutto di una cafoneria dell’interlocutore, di una sua formazione relazionale così rozza e approssimata per difetto da negarti persino la scelta della cortesia che ti spetta, del riguardo da usarsi rivolgendosi verso il prossimo; almeno fino a prova contraria. Rispetto al fatto, non è innocente la maestrina elementare che, in classe, insegna al bambino a darle del tu e a chiamarla per nome. E così anche per alcuni professori delle superiori di ben definita estrazione. Eppure.
Eppure, da qualche anno a questa parte, mi molesta assai l’ idea malsana che il ‘tu’ diretto, dispensato d’emblée, a prima vista, a colpo d’occhio, gratuito persino, così come il “ciao” abusivamente cameratesco, rappresenti un salto di qualità all’ indietro, consapevolmente depauperante ed espressivo del ridotto senso della misura che, di questi tempi in Italia, i ‘giovani’ riservano alla categoria degli anziani come espressioni marginali della società, delle ridotte capacità intellettive, da tenere sottoschiaffo. In ospedale, in genere, danno del tu agli allettati, a quelli anziani danno del tu con accompagnamento di ‘nonno’. Eppure, ai vertici della società c’è un considerevole numero di persone anziane a cui nessun si sogna di dare del tu o del confìdenzialissimo nonno. Anche negli uffici il tu ai subordinati sta sparendo; sopravvive quello tra colleghi di categoria, anche se con delle garbate eccezioni imputabili all’ anzianità professionale, secondo norma di un buon vivere dove forma e sostanza interagiscono alla pari e compongono la finezza, antonimo della pacchianeria di chi tende a mettersi a livello, a carpire confidenzialità o, peggio, ad esercitare un potere anche psicologico sull’ interlocutore. Da insegnante, ho continuato spontaneamente a dare del lei ad un anziano mio ex professore di liceo ora ritrovato tra i miei colleghi dello stesso Istituto.

Penso che, invece, il tu accettabile possa essere soltanto un punto di arrivo di un percorso improntato alla spontanea reciprocità. Il tu unilaterale, imposto di partenza, è una falsa partenza, è un piede in fallo; potendo, direi un piede sulla cacca. Alla società servono anche queste regole elementari, più di quanto si possa pensare.
Dicevo, non sono il tipo che…lo confermo: ma molto spesso, sono portato a ricredermi. Un cafone è un cafone, un cozzalo è un cozzalo; il concetto è semplice: non ci giriamo intorno. Tu quoque?

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Una risposta a Note a margine n. 416

  1. helena ha detto:

    O voi cozzali, fatemi il piacere, lasciate i nonni ai loro legittimi proprietari. Di quattro nonni non ne ho avuto neanche uno, me li hanno raccontati le loro fotografie, e sono rimasti una favola che non si prende neanche con le mani: almeno nessun cozzalo puo’ metterle un guinzaglio di spago, e trascinarsela dietro a suo mal-piacimento.
    In questo Paese dove vivo, stanno susseguendosi giorni importanti, la gente si cambia il vestito e un po’ anche l’anima a seconda dell’ evento; ed anche i giardini i campi e il mare sfoggiano odori e colori, ma anche una porzione di sabbia in bocca, per non perdere l’ equilibrio necessario. E ricordarsi dei pronomi, tanto per un desiderio eccessivo di festa, un po’ fuori dall’ ordinario.
    Lei, signore che passa, se dovesse per caso venirsi a trovare al cospetto di Tu, mi faccia la cortesia di andare oltre, di far finta di non vedere per non scalfirlo con lo sguardo, lo lasci la’ in evidenza, come lo ha messo lo scrittore, perche’ Tu e’ una goccia verde che gioca con le acque immense; e’ uno Shofar che lancia hateruah in qualche luogo dell’ universo; oppure un luccichio di diamante tra le spighe, tagliato con un chicco di grano; o un seme solitario di fiore, spinto con forza nel deserto; scheggia con un colore inventato dalla roccia; rintocco di campana mezzanella; perla di collana che giunge alla conchiglia, passando tra le rose.
    E la poesia dello scrittore, mi scusino, ma anche questa volta voglio tenermela per me.

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