IL DIALETTO BARESE: RESTA ANCORA UN “POVERO A LUI”!
Il dialetto barese, se ne discute assai ma girando a vuoto Quella del morfologia e delle ortografia del dialetto barese è questione che fa confliggere duramente i letterati locali, da molto tempo e senza prospettive di esito. Infatti, le premesse da cui muovono le tesi e le teorie non tengono conto e del fatto che si tratta di un idioma vivo e, come tale, costretto a riconoscere e ad accettare nel proprio ambito nuove realtà per indicare le quali è necessario usare una terminologia “neologistica” aggiunta e disusare quelle tradizionali riferibili a realtà trapassate decadute nel dimenticatoio. In ogni caso, la vitalità dei dialetti ( v.si anche il napoletano, il romanesco, il veneziano, il genovese, etc. che hanno avuto la fortuna di essere nobilitati dalla interazione tra scrittori di grande spessore e una ricca diffusione nazionale, diversamente da quelli periferici ) li espone alla fenomenologia temporale e territoriale, già variabilissima, oltre che a quella personale per via della commistione anche delle piccole inflessioni che scaturisce dal fenomeno dell’ urbanesimo e del pendolarismo. Saremmo più precisi, se parlassimo dei dialetti baresi, napoletani, romaneschi, etc. Confrontate cadenze, terminologie, inflessioni e pronunzie di Eduardo e di Troisi, di Cesco Baseggio. Di Gilberto Govi, Belli, di Trilussa, etc. , volendo scriverne un ‘ opera in dialetto, dovremmo rigorosamente evitare di mescolare a casaccio, e rispettare il coordinamento dei contesti temporali, territoriali e linguistici. Il teatrino dialettale barese contemporaneo non decolla non solo per via della povertà terminologica del nostro dialetto, per mancanza di testi significativi ( anche a livello comico ) che non debordino puntualmente nella gratuita volgarità, ma anche perché letterariamente anarchico, raffazzonato nella improvvisazione, inventato quattro stagioni. Per questo, il dialetto barese continua ad essere ” un povero a lui!”