Note a margine n. 270

 

ASINO

IN HOC SIGNO PRO…VINCES

Nella mia città, sopravvive (ma, ormai, di stenti) una vecchia locuzione interrogativa: “ma che, vieni dalla provincia?” Ovvio l’ intento di svilire l’ interlocutore, mettergli in dubbio l’ intelligenza a pro di una rocciosa testardaggine, rilevare una ottusa rigidità mentale, un’ apertura ristretta, una arretratezza frenante e quant’ altro, in questi sensi, cattivi e nocenti, ci viene in testa di dire a noi cittadini che ci sentiamo carismaticamente avanzati. Specie se viviamo sul mare; circostanza che autorizza la nostra perversione a dire pure: “ma che, vieni dalla montagna?”
Il provincialismo – anche nella sua variante provincialità – pare un termine coniato apposta per marcare l ‘esclusione territoriale (o anche mentale) dai fasti del glamour cittadino, è il retroterra lontano dallo chic che non imita e che si fa imitare, è il distante dal centro attrattivo, è il satellitare.
Eppure, oggi, si scopre di peggio: il terrore di apparire provinciali che spinge ad aperture insulse, ad accettare con un sorriso scafato porcherie di ogni genere, ad accettare regole e modi di fare irragionevoli scelte su indicazione di maître à penser per essere il più possibile all’avanguardia, a distanza di sicurezza dal nostro orticello e, soprattutto, apparire: sembrare prima di tutto ciò che non siamo, in un’ ansia imitativa che ci angoscia e ci sistema in zona promozione per essere à la page. E diventiamo più provinciali dei provinciali. E senza accorgercene, diventiamo anche ridicoli. Personalmente, je m’ en fous. “Il provincialismo è qualcosa di più dell’ignoranza. È ignoranza più una volontà di uniformità. È una malevolenza latente, spesso una malevolenza attiva, e l’odium teologicum ne è solo un aspetto. È molto insidioso, ed uno raramente può esserne libero, anche tenendo gli occhi aperti”(Ezra Pound)

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