UNA SCELTA
Lo sciacallaggio mediatico – ormai piaga per le piaghe – si sta scatenando sull’ evento dell’ abdicazione del Papa. Chi sa parla, chi non sa straparla, inventando, alludendo, ipotizzando, mescolando cronaca e dietrologia.
Io credo alle motivazioni addotte dal Pontefice a sostegno della sua decisione: autoriconosciuta incapacità fisica e psichica a sopportare l’ onere della funzione. C’ è qualcosa di autodisciplina tedesca, piuttosto che un tentativo disperato ed eroico di resistere a sfinire come avvenne per il suo predecessore Woitila. Ma quegli era sostenuto ed accompagnato nelle sofferenze da un amore universale, dalla affettuosa simpatia che gli veniva anche dei non credenti, e lui ne fece tesoro per tentare di far durare più a lungo possibile una specie di unificazione umana che culminava nella sua personalità non disgiunta da un provvidenziale phisique du rôle, dalla corporatura atletica, al viso largo, sorriso gioviale, trasparente e il fascino di un accento italiano in via di apprendimento. Da correggere, come invitava lui stesso.
Ratzinger è stato un uomo colpito prima di tutto dal danno di questa mancanza, invece; e poi, dalla sua nazionalità tedesca che risveglia ancora tristissimi ricordi; dalla sua modesta statura fisica che condanna tutti i brevilinei ad essere poco spazio anche nelle percezioni altrui, a dire parole che spesso scivolano via senza suscitare il pur meritato credito, viso piccolo e labbra minuscole, denti quasi invisibili a danno della comunicativa del sorriso; dalla sua stesa voce sommessa, dal suo passato di soldato tedesco sinonimo tout court di rigore; dal rigore dei suoi studi di cardinale teologo; dal raffronto implacabile e superficiale col suo predecessore; da una stampa irridente e feroce che lo battezzò come “pastore tedesco” e “ratzista”; da una satira taverniera e mercenaria. E poi, piegato dalla estrema solitudine che ne conseguì, mentre assisteva sgomento al dilagare di una guerra distruttiva anticlericale, scatenata anche dal di dentro alla stessa Chiesa erosa da falsi valori, turpitudini, devastata da rivoluzioni morali interscambiati con una società aggredita dal virus del fatalismo e del materialismo. Lasciato solo senza il supporto della adeguata corrispondenza affettiva che gli avrebbe dato la forza necessaria ad affrontare opportunamente gli sconvolgimenti morali e materiali della gente. E magari, non adeguatamente “collaborato” da coloro che avevano il compito di farlo. Un Papa che soltanto ora, sta raccogliendo qualche simpatia popolare in più rispetto alla sua meritoria opera pregressa.
Eppure, in questo diffuso contesto di mediatiche sconsacrazioni e consacrazioni valoriali, la fermezza del suo rigore è stata eroica sino alla fine, anche nella identificazione della priorità del bene della Chiesa a scapito della sua persona. Anche questa è una forma di grandezza. Disonesto non riconoscerlo.