UNA COSA BIANCA
Ricevo da Elmiki e pubblico
TODI: SETTE E MEZZO
Forti e grandi s’ incontrarono in Todi
in gran segreto per far la cosa bianca,
e fecero un sodalizio nei giusti modi
per dominar sol loro un’ Italia stanca.
C’ eran certi personaggi e certi figuri
che poi rapidi ci ritroviamo al potere,
erano celati, sì, ma ben più che sicuri
di prendersi il tutto e farci un paniere.
Bagnasco sotto forma di spirito santo
esortò a creare tra loro una solida rete,
tutti i presenti coinvolse nel suo canto
e mandarli in guerra fu gioco da prete.
Giunsero i tempi, scoccata è già l’ ora,
il segreto sodalizio occupa le poltrone,
e l’ antica regola santa dell’ora e labora
vale solo per il meschino ed il coglione.
La chiesa di Cristo approva e benedice
le scalate di monti e le cosette da fare;
oh! se Gesù la vedesse! che corruttrice!
Usar il suo nome ma solo per intrigare!
Elmiki
per finire la poesia:
Barbara, maladetta, iniqua usanza, / venuta a noi dal popol circumciso,
ed accettata per bella creanza, / come venuta sia di paradiso!
quant’e’ grande, ohime’, la lontananza! / coma dal viver nostro oggi e’ diviso
quel primo antico, ov’or languendo giace / la cara liberta’, che tanto piace!
Un atto generoso da romano, / anzi un’impresa, un’opera perfetta
e’ veramente quella di Graziano, / quando cavarsi altrui vuol la berretta,,
che gentilmente la piglia con mano, / poi la scuote e dimena con gran fretta:
e quanto l’usa piu’ di dimenare, / piu’ vuol amico o signore onorare
E se non fusse rispetto alla Fede, / direi beato il popol di levante,
i Turchi, dico, a cui sempre si vede / portare in testa cosi’ gran turbante;
ben han costor dal ciel larga mercede, / ben son le loro usanze giuste e sante,
che se lo cavan solo a Macometto / nelle moschee, e quando vanno a letto.
Oh Dio! quel secol d’oro era pur bello, / quando non era servo ne’ padrone,
ne’ spade o lancie, o prigione o bargello, / ne’ mio ne’ tuo, ne’ torto ne’ ragione.
Dava la terra uguale a questo e a quello / vitto e vestito: e non mai le persone
si dolevan d’Amor, ne’ di lor sorte; / ma vivevon contenti in fino a morte.
Canchero venga a quella traditora, / vituperosa, ardita messaggiera,
che Giove a noi mando’, detta Pandora, / piu’ brutta che le Furie o la Versiera;
poi che porto’ quel vaso, ond’uscir fuora / morbi, infortuni e mali a schiera a schiera;
ma quel ch’altrui piu’ punge e piu’ molesta,/e’ quel si’ spesso cavarsi di testa.
Ond’io non posso far di non lodare,/Anton mio caro, il vostro animo altero,
che non vogliate a Firenze tornare / per piu’ rispetti, e questo sia il primiero
di non v’aver si’ spesso a sberrettare,/ questo incontrando e quell’altro bel cero,
oltre gli uomin di titolo e di grado / che’ saria meglio esser ucciso a ghiado.
Ma se cosi’ dal cielo e’ destinato, / con pacienza sopportar bisogna:
e’ il viver nostro un sogno travagliato,/ e questo mondo e’ sol frode e menzogna:
quei che gia’ furon vivi, hanno sognato, / questi che vivon oggi, ciascun sogna,
cosi’, con breve gioia e lungo affanno,/son per sognare ancor quei che verranno.
Ma poi nell’altro mondo risvegliati / dove senza dormir, senza sognare
sempre starem, da colui giudicati, / che non si puo’ ne’ fuggir, ne’ ingannare;
sia pur chi vuol, tutti sarem beati, / di la’ dovendo senza panni andare:
dove almen sempre, di verno e di state, / sarem sicuri dalle sberrettate.
Anton Francesco GRAZZINI detto IL LASCA
1503 — 1584
Erano le Note a margine n.83, MARI O MONTI, quando a fine d’anno 2011, a te si inchino’ un cinquecentista poeta giocoso e burlesco, elegante e gentile, farmacista in Firenze e ben attento alle cosette di quel tempo; or non gli par vero togliersi il cappello davanti a te, Elmiki caro, malgrado la stagione del freddo inverno :
A M. ANTONIO BINI
Contro alle sberrettate
Voi, che per merto ovver per eccellenza / solete aver da me le sberrettate;
rispetto al tempo, abbiate or pacienza, / ch’io vi ristorero’ poi questa state:
or l’aria e ‘l freddo e ‘l vento han tal potenza, / che fan catarri e tossi incancherate;
onde allo sberrettar si’ spesso io dubito / che nato sia questo morir di subito.
Fra tante grazie e tante, che natura / dette alle donne, mi par grande questa,
che mai ne’ per onor ne’ per paura / si cavan cosa ch’ell’abbiano in testa;
ma noi meschin, per nostra alta sciagura, / ben mille volte il giorno questa festa
usiamo spesso a quest’uomo ed a quello, / cavandoci or berretta ed or cappello.
Oh gran felicita’, quando in Fiorenza / portare il cappuccio era ognuno usato !
ma quando a far s’aveva riverenza / a qualche personaggio segnalato,
bastava sol toccarlo alla presenza, / ed ei restava lieto ed onorato:
ne’ mai trarselo affatto usavan gli uomini, / se non in chiesa, o fuori al Corpusdomini.
Se quest’altr’anno io saro’ vivo e sano, / anzi, mentre ch’io vivo, voglio ogn’anno
il verno star da Firenze lontano, / per fuggir tanto e si’ gravoso affanno.
Cava, metti e ricava a mano a mano, / all’acqua e al vento, altrui reca tal danno,
che gocciole e posteme e febbre e tossa / conducon l’uom finalmente alla fossa.
Quando la neve e ‘l giel ci dan la stretta, / e che soffia ventavolo e rovaio;
e quando piove e il ciel tuona e saetta, / e, come dire, il dicembre e il gennaio,
non devria cavarsi uom mai la berretta; / ma quel tempo aspettar giocondo e gaio,
quando l’aria e’ benigna e temperata, / che manco nuoce altrui la sberrettata.
Lasciam andare i principi e i signori / e belle donne e nobilmente nate,
e capitani e prelati e dottori, / e persone altre illustri ed onorate;
ma oggidi’ pedanti e servitori / vogliono anch’essi aver le sberrettate:
anzi ognun par che s’acconci e s’assesti, / sempre aspettando ch’altri li sberretti.
Gran vergogna e’, non pur somma viltade, / vedere un uomo vecchio, un cittadino
su per le piazze, ovver per le contrade, / cavarsi la berretta ad un bambino :
ne’ questo sol per nostro male accade, / ma peggio ancora a dirvi m’avvicino:
(oh cerimonie disutili e vane!) / trarsi di capo in sino alle mondane.
Guardate un po’ se questa vi par bella, / che per non seguitar di sberrettarmi,
i’ ho trovato chi non mi favella, / che solea prima molto accarezzarmi:
tanto ch’io temo, per questa novella, / ch’un di’ non voglia venir meco all’armi,
udito avendo che molte persone / hanno per questo gia’ fatto quistione.
segue ./.