I due marò italiani, fraudolentemente arrestati, sono ancora nella mani dei predoni indiani, da undici mesi in attesa di giudizio, e ci resteranno ancora per almeno altri tre mesi, secondo quanto preannunciato dagli aborigeni boss del settore.
Una situazione di stallo ben concertata dalla magistratura indiana che, ahimè, per certi versi, richiama alla mente certe cose di casa nostra e che, per pulizia mentale, mi impedisce persino di incazzarmi e parlarne male come meriterebbe. Mi si ritorcerebbe contro e non avrei che da chinare la testa.
Che gli andiamo a dire, infatti, che certe porcate non si fanno? In certi casi, è perfettamente inutile richiamare le antiche tradizioni culturali di un popolo: non faremmo che sottolineare la sconcia decadenza valoriale che sta infettando il mondo. E se ce ne chiediamo il perché, dovremmo mettere in conto anche l’ ipotesi – da più parti prospettata come deleteria e corruttrice – del populismo socioculturale, della istruzione ficcata incongruamente in teste incontinenti, seminata e poi non efficacemente seguita e coltivata, lasciata esposta alle intemperie ormonali e contaminata dalle perturbazioni politicorevanchiste, da reazioni istintuali, retaggi familiari, tare impulsive che reagiscono negativamente sulla formazione e sul comportamento dell’ individuo. Ancor più pericolosamente quando l’ istruzione, prima di diventare cultura, diventa potere, spesso troppo in fretta, per fortuna economica, o per share di ascolti, per legge o a posti riservati per concorso.
L’ istruzione andrebbe somministrata, invece, a piccole dosi, ogni volta accertando a priori e con la massima cura i benefici o i danni in atto. Penso al rischio di una specie di intossicazione progressiva da accumulo, alla incontenibile pressione che esercita una grande idea in una piccola testa.
In questo senso di lente ed avvedute approssimazioni, plaudo, pertanto, alla iniziativa di far ascoltare Dante prima da un comico consolidato, in sintonia con le masse e poi, magari, da un qualificato specialista; così come di far canticchiare all’anglo Saphiro dei Rokes – che s’ è fatto le ossa, nientemeno, con Rita Pavone-Gianburrasca – le prime norme fondamentali della nostra Carta Costituzionale. Che, per i fasti di questa interpretazione esotica, fu pensata ed elaborata.
Non so come si diventa giudice in India e non so nemmeno come, poi, si dovrebbe fare il giudice da quelle parti né come, in pratica, si fa. E non so se o in che modo o misura l’atteggiamento mentale differisca da quello di coloro che meritano per davvero di essere chiamati giudici.
Non posso dare lezioni a nessuno; ma posso avvertire il profondo disagio che provo quando percepisco il senso dell’ abuso, in ogni campo e direzione. E il senso disperato della impotenza del cittadino o di un piccolo Stato tratto in catene ai piedi di un giudice apertamente ostile, tronfio della propria onnipotenza ed impunità.
Mi accorgo solo ora che sto andando piuttosto a braccio, in ordine sparso; ma capitemi: alla condivisione del dolore solidale con in due marò e rispettive famiglie, si unisce la vergogna della figura di merda che sta facendo il mio Paese, i suoi rappresentati e governanti per caso. E, credetemi, non è cosa da digerire facilmente. Ma a noi, in questo Paese che va a rotoli, hanno ordinato perentoriamente l’ integrazione razziale. Fanculo!
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