TORMENTONI
Questa mattina, nelle ore in cui gli studenti avrebbero dovuto fornire il consueto riscaldamento ai banchi scolastici, ne ho visti e uditi in molti, sbraitanti, sfilare per le vite del centro. in ordine sparso in un ennesimo corteo. Di protesta, ça va sans dire. Dagli slogan lanciati verso il cielo non ho afferrato l’ oggetto della protesta; ma, dal variegato vociare ho almeno capito che non ne avevano idea precisa nemmeno loro. Una frase corale ben scandita a tutto volume sono riuscito a cogliere: “Se non ora quando?”. Il solito tormentone che da ogni voce reclamante, a tutti i livelli, e da qualche anno viene adottato come bandiera, logo, insegna, emblema da chiunque voglia servirsene per invocazione, esortazione, ammonimento, di stampo contestativo, una sollecitazione, uno stimolo a reagire, a prendere decisioni tempestive, al più presto, tipo l’ ora segnata dal destino… Una frase scimmiottata a memoria, quattro stagioni, ad libitum, da più parti da inconsapevoli all’ indirizzo di altri inconsapevoli. Ma l’ effetto è assicurato.
Ogni volta che mi accade di ascoltarla, ‘sta cosa nelle mani sbagliate, non posso fare a meno di rammentare la figuraccia di m. fatta in Parlamento da un deputato che, in crisi di credibilità politica, col pianto prossimo allo sgorgo, avutane facoltà, spalancò bocca e cuore, e ingaggiò una lotta all’ ultimo sangue con l’ uditorio per riconquistarne il consenso almeno umano travolgendolo attraverso la commozione. “Come scrisse il grande Neruda…vi dirò anche io…Lentamente muore chi…” e giù tutta la compilation delle morti lente ed infide della poesia. Un silenzio generale dell’ assemblea accompagnò la recita a memoria che spaccava i cuori. Naturalmente, né prima, né durante, né dopo, nessuno dei presenti acclamanti osò correggere il tiro sbagliato del meschino che si dimise al termine della struggente ed ispirata interpretazione pregna di tormento. Forse, non fu mancanza di audacia: fu l’ ignoranza che aleggia negli storici volumi degli ambienti dove vivono e pascolano open bar ed immuni gli eletti. E già, perché quei versi non erano (non sono) di Neruda ma di Medeiros. Poca cosa, rispetto al bagaglio di ignoranza concentrata negli onorevoli Palazzi brulicanti di simil Proci all’ ingrasso e ansiosi di ricchi premi e cotillon.
Ora vorrei dire un paio di cosette a questi quattro cialtroni e passa, del “Se non ora…” rimescolato in tutte le salse, alla bisogna.
I più informati di loro non ne sanno nulla; gli altri lo usano – come ho già detto – come incitamento al salto in avanti, all’ assalto al futuro, al cambiamento immediato suggerito dal premere del tempo, una specie di “l’ ora delle decisioni….”. Infine, la ristretta élite di qualche illuminato che legge e scrive su facebook lavorando perlopiù di copiaincolla, attribuisce il conio della frase a Primo Levi che, pure, la utilizzò (in altro senso, però) per dar titolo ad un suo romanzo e ripeterla nella sua ‘Canzone dei Gedalisti’ (ebrei partigiani) nella sua interezza formale d’ origine: “Se non sono io per me, chi sarà per me?
Se non così, come? E se non ora, quando?” Attinto dalle Massime dei Padri e attribuito dal Talmud ad Hillel il Vecchio.
Infatti, la Canzone partigiana aggiunge “… Ora abbiamo imparato i sentieri della foresta, abbiamo imparato a sparare, e colpiamo diritto…per la vendetta e la testimonianza…ognuno di noi porta in tasca la pietra che ha frantumato la fronte di Golia…”.
Intanto, si sappia che il romanzo narra una storia inventata, diversamente da “ Se questo è un uomo” e “La tregua” che sono sue testimonianze di vita vissuta. I versi della Canzone sono modellati sui personaggi inventati, quindi.
Sul significato della completa espressione originale (che va interpretata nella sua interezza) convergono e divergono le molteplici esegesi.
Accantonando per un attimo il bruciar delle ferite e dei tormenti della Shoah, occorre contestualizzare lo scritto rapportandolo alla sua origine degli anni a cavallo dell’ a. C. e del p. C.
Trovo per il momento, interessante e fuori dal flusso gregale lo studio di Fabrizio Rondolino che rileva accostamenti buddisti: “…significa che è tempo di lasciar andare il futuro e di chinarsi sul presente, con lo stupore e la gioia di chi si china ad osservare da vicino il fiorire di un prato in primavera…Un buon timoniere asseconda le onde e i venti, e cerca di trarne vantaggio per seguire la sua rotta: ma sarebbe un folle se volesse mutare con la sue forze la direzione o l’intensità o la durata della tempesta…Nel momento in cui lasciamo che le cose siano proprio così come sono, qui e adesso, l’interno stesso della prigione diventa il luogo della libertà…”.
Se così fosse, la massima di Hillel insegna un principio agli antipodi del senso della Canzone dei personaggi romanzati di Levi.
Farne, oggi, uno slogan vessillo all’offensiva del cambiamento del futuro pare davvero improprio, gratuito, ed inconsapevole.
Commenterò in seguito questo interessante articolo. Angelo
Ma che sia davvero questo il paese dei miracoli? no, non e’ uno slogan, ci mancherebbe altro! “Chiste e’ ‘o paese d’ ‘o sole, chiste e’ ‘o paese d’ ‘o mare” e basta; quando giri per le vie del centro, un frastuono di silenzio e di gambe che non passeggiano, e basta: addosso ti piove un po’ di tristezza…, e basta. I tormentoni li vivo da lontano e me ne giungono le voci grazie alle parole dello scrittore egregio che ne fa dono in queste pagine.
Se non ora, quando? “Ogni volta che mi accade di ascoltarla, ‘sta cosa nelle mani sbagliate”, perde infatti il significato profondo che si respira nella sua interezza nel Pirkei Avot (letteralmente Capitoli dei Padri). Mi piace riportarla per intero:
” se io non sono per me stesso, chi sara’ per me,
con questo, se io sono soltanto per me stesso, che cosa sono io?
e se non adesso, quando? ”
” im ani lo bishvil atzmi’, mi ihihe’ bishvili’,
im zot, im ani raq bishvil atzmi’, ma ani?
ve-im lo ackshav, matai? ”
Attribuita dal Talmud ad Hillel ha-Zaken – Babilonia, 60 a.C. circa — Gerusalemme I^ Secolo
E adesso fate voi; Michele ha gia’ fatto, egregiamente, ed anche tutto il resto sul romanzo grazie!