Note a margine n. 153

ASSUEFAZIONE

Cerco di mettermi comodo sulla sedia in ferro: lui battuto sotto presse e magli, io sbattuto da eventi schiaccianti, fuori di misura, di ragione. Sarà il fato: non può essere altrimenti. E anche l’ età.
Devo sembrare assorto con lo sguardo fisso sulla mia tazzina di caffè. Un tempo, per tanto tempo, questa è stata una specie di amica-manutengola della mia ricorrente sindrome depressessenziale.
Dava una specie di conforto ai miei recidivi sogni infranti di essere quell’ Ulisse che non fui mai. Tempi di ragionevoli prospettive o di speranze: manco a parlarne.
Lascio che i pensieri svirgolino nel loro massimo disordine, non devo renderne conto a nessuno.
La cronaca appena letta riporta la sua quota di brutalità giornaliere, legali e non, e mi rendo conto quanta assuefazione ci sta avvelenando più delle polveri sottili che ci circondano. Forse il più spaventoso dei drammi che stiamo vivendo. La morte comincia a non farmi più tanta paura. Non ci voglio restare in questo mondo di merda, voglio cambiare posto, se possibile. Ovunque, ma non qui.
Infine cos’ è un caffè seduto al bar? Come un bacio trovato al più vicino mercato persiano, inventato a due passi da casa, su un vecchio banco nascosto dietro un fiore di seta sdrucita e poi preso tra le dita, lucidato tra il pollice e l’ indice e dopo portato d’ istinto infantile sulle labbra, è là che ogni cosa disvela la sua essenza, non allo sguardo, non al tatto, non al fiuto.
Lampeggiano brevi sequenze di immagini, pensieri bisognosi di rattoppi che, lo so, ormai non verranno ricuciti; manca la mano d’ opera e scarseggia anche il capitale da investire, la voglia di farlo.
Nel biancore del bordo tazzina lascio che sfumino, alla rinfusa, le parole che avrei voluto scrivere per il commiato, ché altro diverso movente non mi spinge. Lascio andare, affondare, sciogliersi nelle acque reflue di un fatalismo accettato non so come e non so da quando. Ma ormai mi ci trovo.
Sento che qualcuno, da qualche parte, meriterebbe almeno un mio grazie accennato, un gesto, una voce. Mi rimorde non farlo, ma non più di tanto.
Poi, cerco di smaltire la mia rabbia e sfido persino il destino.
Qui mandano i gendarmi nei negozi, nei ristoranti, bloccano le uscite, ti identificano, ti scrutano di che panni sei vestito, di che Rolex vivi, annotano se non sei venuto a piedi e verbalizzano quello che stai mangiando e bevendo, quanto costa, ti schedano, poi controllano se l’ hai raccontata giusta al grande Inquisitore quando hai confessato i tuoi redditi. Quelli che ti stanno rapinando per ingrassare i loro.
Non è uno scherzo; è la teoria del “se tanto mi dà tanto…” adattata da quattro disperati che non si convincono ancora di non essere all’altezza e gestiscono la cosa col piglio dei primi della classe alle prese coi compiti a casa.
Me ne accorsi da molto e, impotente, ero più disperato di loro. Perché sapevo già.
Io qui ci sono venuto a piedi, e sono outlet e cinese da capo a piedi. Stringo tra le dita la tazzina ancora tiepida e faccio sparire il tovagliolino di carta del croissant che mi sono concesso. Il tutto a euro 1,60, nulla per il servizio al tavolo.
E prego che venga pure a me a inquisirmi un gendarme di questo mostruoso Leviathan in cui ci hanno confinati, incatenati stretti come nella stiva puzzolente di una corsara negriera. E lo inviterei anche a casa, a due passi, a controllare quanto scottex bagno consumo ogni giorno. Sì lo farei io, prima che ci pensi questa combriccola di professori del cazzo, collezionisti di stronzate del genere.
Poi, mi ritiro sconsolato ad attendere ancora il mio turno sacrificale.
Sì, “Verrà la morte…”; ma che occhi avrà?

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Una risposta a Note a margine n. 153

  1. helena ha detto:

    …e se li tocco questi bottoni e li abbasso, sia pur con accurata leggerezza, i miei pensieri si vedranno stampati la’, dove i miei occhi ora non stanno guardando, perche’ non volino fuori note stonate; ma queste sono irrequiete e sfuggono ad ogni controllo. Un motivo lo hanno, e’ certo, ma io non voglio saperlo.
    Questa e’ una pagina che non avrei voluto sfiorare per non sciuparne la bellezza, i tanti odori, i silenzi, le riflessioni, i colori sfumati. Ed infine il giudizio ultimo, infallibile, a confermare la giustezza di quanto scelto dallo sguardo e preso tra le dita di una mano di particolare sensibilita’, per completare il quadro dipinto in un giorno caldo del mese di agosto.
    Selicha’, c’est a’ dire: pardon!

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