Note a margine n. 150

OLIMPIADI E CASCATE DI ORO…

Secondo il Sole 24Ore, una star dello sport nell’ ammollo – atleta di vasche, docce, e, perché no, semicupio – che ai giochi doveva ricoprirsi di cascate d’ ori, si sarebbe, invece, ricoperta di cascate d’ oro. A far tempo “dal 2010 si narra, con ampia approssimazione, di un gettito complessivo per la campionessa di 2 milioni di euro l’anno, garantito dagli sponsor Mizuno, Armani, Barilla, Enel, Nilox e Yamamay. Quest’ ultimo (300mila euro) è già esteso, gli altri contratti scadono a fine 2012. Resteranno gli stessi, ne arriveranno di nuovi, ma certamente cambieranno le fee se è vero che Federica Pellegrini punta ora a incassi complessivi di 4 milioni di euro l’anno. Il doppio di oggi e indipendentemente dalla performance di ieri”
Insomma frana dal podio ma salita nel borsino. Il pubblico dei nuovi consumatori ha un’ etica del tutto amatoriale e ingurgita di tutto.
Il paragone con Totti cellulare e l’uccello di Del Piero non calza: quelli sono professionisti e mirano al guadagno, diversamente dal vero atleta teso al successo della performance e basta.
Il contorno di una variegata storiella di amore o quasi, è, poi, il massimo per ottenere abbagliante visibilità ed efficacia persuasiva per il prodotto reclamizzato da una étoile che si sta organizzando per mercificare al meglio la propria immagine. Più in fretta possibile.
Se non sarà in grado di far fronte, presto, agli impegni comportati dal suo ruolo di campionessa, costei dovrà arraffare il massimo che le offrono ora; poi, potrà griffare qualche accessorio da bagno, accettare qualche comparsata in tv, forse, ballare anche con le stelle, prima di ritirarsi a riflettere sulla tristezza del cattivo esempio che attenta all’atletica pura e alla vocazione che la nobilita ab immemorabili.
L’ atleta non è soltanto un fascio di muscoli e tendini allenati; è esempio dell’ anelito umano a confrontarsi con i limiti naturali e scoprire possibilità impensate. E per questo, muscoli tendini non bastano di certo. Troppo spesso abbiamo dovuto assistere allo spettacolo pietoso di capricciosi atleti “prime donne” in domo sua e, oltre la soglia e fuori dalla corte, manifestarsi lacrimosi privi di carattere, di tenacia, di tempra, di resistenza alla sofferenza, alla competizione, campioni dell’ afflosciamento, della rinuncia, del rimpallo di colpe.
L’atleta deve saper perdere la gara senza perdere la linfa speciale che lo anima come un irrinunciabile ideale e lo distingue.
L’atleta deve avere fame. La pancia piena gli svuota il cuore. E quello, invece, gli serve assolutamente.
Nulla da criticare verso libere scelte di segno opposto. Pecunia non olet.
Ma, almeno, cambiamo parola.

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