ACCESSORI DI SERIE E AGGHIACCIAMENTI
A che cosa servissero e/o servano esattamente i partiti politici sono in pochi privilegiati a saperlo. A saperlo spiegare davvero sono pochissimi.
E – occorre ammetterlo – non è mai stata impresa facile, considerato, tra l’ altro, che i partiti non sono mai stati realizzati come previsti dalla Costituzione repubblicana, e non perché qualcuno glielo ha impedito, ma perché essi stessi hanno opposto radicale resistenza ad uscire da una comoda ambiguità fattuale-giuridica che li esonera e li alleggerisce degli oneri che, invece, gli farebbero carico ove si fosse data una specificazione concreta all’ art. 49 della Costituzione. Libertà totale, dunque, come per qualunque altra associazione di fatto, per “per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Non avendo personalità giuridica, essi non sono soggetti di diritto: ciò significa zero obblighi e doveri, zero responsabilità: unico limite è rappresentato dal “metodo democratico”, diretto a regolamentare l’attività esterna del partito nel partecipare alla politica nazionale e non la sua organizzazione interna. E nemmeno questo è stato realizzato: è il segretario del partito, infatti, che decide come devono votare i parlamentari.
Nella forma, evidenti sono le differenze con i sindacati previsti dall’ art. 39 della Costituzione, laddove per questi vengono stabiliti l’ obbligo della registrazione (strenuamente ancora rifiutata), un ordinamento interno a base democratica, e la qualità di persona giuridica (collegata alla registrazione).
In pratica, siamo in presenza di forze sociali incontrollate ed incontrollabili, rette dalla volontà di un segretario-padrone che decide la politica, i voti in Parlamento e gli scioperi di categoria (malgrado l’ art. 40 imponga la regolamentazione per legge), con tanto di tesoriere a latere che amministrano come vogliono le valanghe di danaro di cui dispongono.
I sindacati non hanno obblighi di bilancio consolidato, malgrado i ricchissimi investimenti immobiliari, non hanno mai pagato l’Ici e, benché grandi fautori dell’ art. 18, hanno arbitrio di licenziamento (v. art. 4, comma 1, L. 108/1990). I partiti, per i bilanci, fanno orecchie da mercante e, col metodo che dei cosiddetti rimborsi, continuano a far man bassa dei soldi pubblici malgrado l’esito nettamente contrario di una consultazione referendaria presa per il culo.
E’ mai possibile che in tanti anni dalla nascita della Repubblica mai nessun legislatore abbia avuto il fegato di regolamentare finalmente queste forze aberranti che rifiutano di farsi disciplinare dalla legge? Ma è mai possibile che si debba riconoscere de facto ai sindacati (e per loro, ai loro segretari) senza obblighi né responsabilità né doveri di consultazione della base, il cosiddetto diritto di decidere uno sciopero generale, il diritto di concertazione, ossia il placet preventivo per l’assunzione di ogni provvedimento normativo che abbia risvolti economici (cioè, tutti o quasi)?
Che mollaccioni di uomini si propongono di guidare le sorti del Paese, capaci, magari, di “agghiacciarsi” per la semplice intenzione di qualcuno di ritornare in politica?
Ma che cazzo di democrazia rappresentativa è questa mariuolagine?
Presto dovremo andare al voto: ci andremo. Ma prima dovremo cercare uomini accessoriati, non optional, ma di serie.