13 ANNI DOPO, PER CASO...
Da un vecchio amico di Ventimiglia – uno dei pochi assidui lettori dei miei libri e preziosa memoria storica della mia produzione – sono stato invitato, senza spiegazioni aggiunte, a leggere un interessante articolo del sociologo Francesco Alberoni apparso sul Giornale del 31.10.11 col titolo “LA CULLA DELL’ INGRATITUDINE”, e poi, di riprendere il n. 25 del mio “I SERMONI DI ALEX G.BUKHANRASE” pubblicato sin dal 1998 per i tipi delle Edizione del Sud (Modugno BA), un mio eteronimo che utilizzo a volte.
L’ ho fatto, ed ho capito il motivo della sorpresa. Allora, per posta privata, ho provato a chiedere un parere a qualche altro mio lettore, ma evidentemente i loro rispettabili impegni, senz’ altro più seri della mia curiosità, ritardano una risposta. E poiché i miei tempi per le attese vanno via via restringendosi, ho deciso di pubblicare qui di seguito il suddetto materiale e poi di attendere almeno un fischio di riscontro. O anche di biasimo, se volete.
IL GIORNALE 31 ottobre 2011
La culla dell’ingratitudine
di Francesco Alberoni
Quand’è che proviamo riconoscenza per qualcuno? A prima vista diremmo che la proviamo verso tutti coloro che ci hanno aiutato, ma non è così. Quelli che si amano non la provano. Pensate a due innamorati. Ciascuno fa tutto quello che può per l’amato ma nessuno sente un debito di riconoscenza. Chi si ama non tiene una contabilità del dare e dell’avere: i conti sono sempre pari. Solo quando l’amore finisce riappare la contabilità e ciascuno scopre di aver dato più di quanto non abbia ricevuto.
Però anche fra innamorati ci sono dei momenti in cui il tuo amato ti dona qualcosa di straordinario, qualcosa che non ti saresti mai aspettato ed allora ti viene voglia di dirgli un «grazie» che è anche riconoscenza.
Insomma la riconoscenza nasce dall’inatteso, da un «di più». Perciò la proviamo spesso verso persone con cui non abbiamo nessun rapporto ma che ci fanno del bene spontaneamente. Per esempio a chi si getta in acqua per salvarci rischiando la vita, a chi ci soccorre in un incidente, a chi ci cura quando siamo ammalati. Ma anche a chi ci aiuta a scoprire e a mettere a frutto i nostri talenti nel campo della scienza,dell’arte, della professione per cui, quando siamo arrivati, gli siamo debitori. La riconoscenza è perciò nello stesso tempo un grazie e il riconoscimento dell’eccellenza morale della persona che ci ha aiutato.
Quando proviamo questo sentimento, di solito pensiamo che durerà tutta la vita, invece spesso ce ne dimentichiamo. E se quella persona ci ha fatto veramente del bene allora la nostra è ingratitudine. Ma la chiamerei una ingratitudine leggera, perdonabile. Perché purtroppo c’è anche una ingratitudine cattiva, malvagia. Vi sono delle persone che, dopo essere state veramente beneficiate, anziché essere riconoscenti, provano del rancore, dell’odio verso i loro benefattori. Ci sono allievi che diventano i più feroci critici dei loro maestri e dirigenti che, arrivati al potere diffamano proprio chi li ha promossi. Da dove nasce questa ingratitudine cattiva? Dal desiderio sfrenato di eccellere. Costoro pretendono che il loro successo sia esclusivamente merito della propria bravura e si vergognano ad ammettere di essere stati aiutati. Così negano l’evidenza, aggrediscono il loro benefattore. E quanti sono! State attenti: quando sentite qualcuno diffamare qualcun altro, spesso si tratta di invidia o di ingratitudine malvagia. Guardatevi da questo tipo di persone.
I SERMONI (1998) il n. 25
Andate piano con i consigli! Anche se richiesti, i consigli, con l’ andar del tempo ed il ripetersi, vi trasformano in una specie di seconda coscienza; e se considerate quanto sia già fastidioso averne una, immaginate quanto possa rendervi insopportabili quando, senza volerlo, assumerete il ruolo di coscienza sussidiaria di qualcuno. Chi vi chiede consiglio e fa a modo suo, poi sarà portato ad evitarvi; se, invece, avviene che sovente lo accetti, egli vi ringrazia e spera che non vi sbagliate; ma al contempo inavvertitamente egli concepisce e coltiva uno strano malessere, il disagio crescente che gli deriva dalla consapevolezza di aver dovuto ricorrere a voi per sapere come o cosa fare; e non c’ è gratitudine che possa reggere di fronte all’ orgoglio ferito di colui che avete consigliato bene; per il fatto che non ci ha pensato lui e che ha dovuto ricorrere a voi, egli cova anche inconsciamente un sogno: che anche voi una volta sbagliate; allora, sentirà di non dovervi più nulla, e che dopo tutto siete uno che non può permettersi di dare consigli e che, ciononostante, l’ avete fatto con lui, ponendolo a rischio o procurandogli danno. Per questo egli sentirà d’ avere una giusta ragione per disprezzarvi. L’ unico consiglio al riparo da questo effetto perverso è la consulenza: quello per la quale avrete chiesto un compenso concreto; l’ apprezzamento che ne riceverete sarà direttamente proporzionale al pagamento; il pagamento vi darà un sicuro ed immediato corrispettivo, alleggerirà dal peso enorme della gratitudine l’ inconscio di chi ve la chiede, vi compenserà delle eventuali delusioni sul piano della riconoscenza, porrà un freno alle ripetute richieste e soprattutto non lascerà postumi permanenti indesiderati dai quali guardarvi con grande attenzione!