STRADE…
…di un fervida fantasia” esordisce, commentando il mio blog note n. 41, l’ assidua Helena che ancora una volta, con la consueta eleganza, esprime il suo apprezzamento sulle mie riflessioni. Ecco, però, può accadere che, a buona distanza di sicurezza e anni luce di cultura sociale, molto o qualcosa di ciò che scrivo possa apparire frutto di “fervida fantasia”. Tuttavia, così non è. Anzi. Rispetto alla nostra realtà ordinaria…minus dixi quam volui; le mie sono soltanto abbozzi di segnacoli, grida trattenute a stento, considerazioni bonsai. Tara accuratissima e attenta. Mai, come in questo ritorno al cosiddetto ‘oscurantismo medioevale’, valgono i sempreverdi della saggezza popolare del tipo: “il silenzio è d’oro”, “taci, il nemico ti ascolta!”, etc. Avvertimento per i facondi!
Fortunatamente ancora a piede libero, leggo spia…cente sulla stampa di oggi che lo Stato italiano (e noi tutti, per lui) ha speso circa un miliardo di euro per uno tsunami di intercettazioni ambientali e telefoniche disposte da magistrati inquirenti, tutte appaltate alle poche ditte private specializzate nel settore. Dicono, per esempio, ‘solo’ 25.000,00 euro per sentire qualcosa sulle scopate e affini del caso Ruby, Premier e compagnia bella, a spese proprie. Sapete, quelle scopate speciali, con tutte le aggravanti possibili, quelle che fanno cadere i Governi. Dicono, giustamente indignati.
Leggo anche: un miliardo di euro in tutto, fino a ieri. Non ricordo come si scrive: tradotto in lire, un numero tale da far perdere il filo della successione delle cifre. Una somma che ogni vecchio rimbambito come me che concorre ob torto collo alla spesa pubblica avrebbe visto meglio investita per far fronte a qualcuna delle mille esigenze del Paese dove una gran massa di pensionati (che hanno pagato anni e anni di contributi) devono tirare a campare con 550, 00 euro al mese, stanno sotto sfratto e sono ultimi in graduatoria per l’assegnazione di un alloggio perché preceduti dai poveri rom e, che, se vanno negli ospedali, rischiano di rimetterci la pelle. Tanto non servono a niente. Anzi, facciano spazio. Svecchiamo.
Se torno a nascere metterò su una bella Ditta di intercettazioni ambientali e telefoniche, sono in pochissime, le vorremmo conoscere una per una, conoscere i loro bilanci, il loro fatturato, i loro contratti di appalto, i committenti, chi bisogna ‘conoscere’ per farsi referenziare: insomma una piccola, innocente indagine di mercato per valutare se ci sia ancora spazio per impiantarne qualche altra, ho una figlia disoccupata da un bel po’ di anni, farei anche un mutuo. E’ volenterosa, potrebbe cominciare dal basso, per farsi le ossa, farsi conoscere, spiando nei condomini, prezzi di favore, lavoro accurato 24 h no stop, no festivi. Sconti comitiva e agevolazioni di pagamento rateale. Consegne a domicilio. Da bravo papà, potrei anche aiutarla ad origliare nei confessionali, in chiesa. Basterebbero un paio di subappalti. Spero solo che, prima di allora, non intervenga una legge a calmierare il tutto. C’è un reale pericolo, anche se da ambienti ben definiti si fa strenua opposizione. Fortunati come siamo in famiglia capaci che la fanno davvero, questa volta!
Ma la corruzione e la truffa, specie agli alti livelli, sono corruzione e truffa, vanno giustamente smascherate: sono una vera vera vergogna e costano care al Paese. Ecco la necessità della formula “tutti intercettati”, spiati, “attenzionati”. Questa è la parte prima. Il seguito è nelle mani del Signore: spesso è “tutti dentro”, “tutti in cronaca”, etc.
Intercettazione a tappeto e a strascico: nella rete qualcosa, qualcosa sempre resta. Che si rovini l’habitat dei fondali non importa.
Mi raccontava il mio vecchio nonno (diciannovesimo secolo) che un operaio, ogni sera, smontando dal lavoro, all’ uscita dal cantiere edile dove faticava, veniva fermato dai controllori perché spingeva una carriola piena di residui di carta straccia e vecchia paglia. “Nulla” – rispondeva ogni volta offeso e stizzito a chi gli chiedeva cosa nascondesse lì sotto e che, sospettoso, frugava attentamente per scoprire il maltolto, senza mai rinvenire nulla. E finiva che ogni volta i solerti controllori – che così si guadagnavano da vivere percependo la paga dal padrone compiaciuto del servizio antifrode – gli dovevano chiedere scusa, ma non lo facevano. Gli toccava, misero operaio.
Al cantiere, in effetti, non mancò mai nulla: ah, preciso meglio, una partita di carriole andò assottigliandosi via via. In pochissimi si chiesero come mai, proprio da quelle parti, si fosse aperta e prosperasse un Ditta che vendeva carriole usate. Anche in buono stato. A buon prezzo. E fu proprio lì che il furbo padrone del cantiere le ricomprò, soddisfatto per il buon affare. Poi fece un po’ di conti e, sempre più furbo, ripartì la spesa su quei fessacchiotti degli acquirenti degli appartamenti chiavi in mano. Sapete com’ è: la congiuntura, il costo del petrolio, delle materie prime, dei trasporti…
Dite, ma questo che c’ entra? Boh, forse niente; ai nonni come me la senescenza non dà molte spiegazioni. Ci tocca.
“…fervida fantasia”? E’ possibile, anche se a noi della generazione vintage pare così tremendamente vero…e a qualcuno dà persino gusto. Ci tocca anche questo?
Beh, allora, roba buona per un’ altra delle mie favole per ogni età.
…….tanto non servono a niente. Anzi facciamo spazio!
già da tempo cercavo di immaginare chi potesse essere racchiuso nei versi di questa sorprendente poesia, ma niente si chiede a un poeta, si può soltanto cercare di capire, frugando tra le parole e i pensieri che scorrono nei versi e che ti entrano nell’anima, inseparabili da sentimenti e da emozioni di chi alla penna li ha consegnati.
RESPIRI
Sei sono i letti in subintensiva,
quasi sei sono i respiri; stenta
il quattro ad accordarsi coi ritmi
più regolari degli altri. Vagano
i lamenti sommessi, tra l’ afrore,
dell’unità n. quattro: al ricovero
anche a lui hanno fatto lasciare
ogni indumento ed anche il nome
in fretta chissà dove gettati; in corsia
quelli non servono e questo non spetta.
Ma nemmeno un istante riposa l’unità
quattro; perchè lo strazio in terapia
non dà più tregua al suo petto, e cumuli
ne lascia di indizi la traccia verdigna
di spia che a suo capriccio vaga
sul monitor oscuro. Scorrono insegne
fluorescenti nella penombra notturna
del reparto speciale, tra i misurati
bisbigli che due sanitari al cambiare
dei turni assieme alle consegne
si passano di bocca,, mentre in silenzio
altre unità fissano il soffitto quasi
cercando responsi nel vuoto del buio
per digroppare i fili dal garbuglio
della mente. Ma la pietà è per se stessi,
comune è soltanto l’angoscia che uguale
sorte iniqua ci tocchi e senza avviso.
Non odo lamenti oggi; ha dormito
stanotte infine così profondamente
che si è scordata anche di respirare
l’unità quattro. Ma presto occorre il posto
per l’unità in arrivo, ora si sgombera;
manca il tempo per una pena. Anche il meno
credente tra noi prega un dio soltanto
per sé ed improbabili transazioni impetra
sul proprio destino.
Michele Lamacchia (dalla raccolta Silenzi)