SCEMPI E SCEMPIAGGINI: SI O NO…FORSE
Nel nostro “Stato di Diritto” – anche se già pare agli sgoccioli agli occhi dei non miopi, dei non faziosi e dei non inconsapevoli degli elementi più basilari della materia – si bofonchia, si biascica e si sbava a più non posso di “par condicio” senza, però, mai specificare o sapere esattamente di che cosa: provate a chiederlo in giro e preparatevi a raccogliere una compilation di cazzate sfumate al vino bianco o marinate al rosso. In suo nome, tuttavia, si continua a compiere scempi e scempiaggini del buon senso.
Ebbene, qualcuno, tra i Cacasenno no stop, tra i giuristi naïf all’assalto, tra gli autodidatti da bar specialisti di aperitivi, tra i pensatori da salotto, rolex e barca, tra i peones dei guru milionari, si è mai chiesto se la nostra vigente normativa referendaria (l’art. 75 della Costituzione e della Legge ordinaria 25 maggio 1970 n. 352) non ne costituisca, in pratica, una violazione?
E sì, perché per far respingere un tentativo referendario di abrogazione di una legge – debitamente approvata dal Parlamento e promulgata de plano e senza eccezioni dal Capo dello Stato – gli schieramenti sono: i Si (da una parte); e i NO e i non partecipanti che bloccano il quorum di validità del referendum (dall’altra). In pratica: la legge de quo non viene abrogata in due casi: a) nel caso non vadano a votare il 50 % + 1 degli aventi diritto al voto; b) nel caso che, pur essendosi recati a votare il 50 % + 1 degli aventi diritto, il numero dei NO sia maggiore dei SI. Insomma: si richiedono ben due condizioni perché vincano i promotori del referendum, mentre, una sola, anche alternativamente, perché prevalgano coloro che non desiderano l’abrogazione di una legge. Vi sembra equo?
In altri Paesi, invece, (ad es: USA, Confederazione Elvetica, etc.) vincono i SI (e si abroga una legge) o vincono i NO (e non si abroga una legge) qualunque sia il numero di coloro che vanno votare. Chi non si reca a votare non manifesta né favore né contrarietà, non conta nulla. Questa è una vera par condicio. D’altro canto, se adottassimo in Italia lo stesso sistema? immaginate un Parlamento Italiano, Organo legislativo per eccellenza costituzionale, tenuto continuamente “sotto schiaffo” da orde di ristrette minoranze che, in mancanza d’altro, bloccano sistematicamente ogni legge ricorrendo alla Corte Costituzionale o ai referendum abrogativi costringendo i cittadini a continui pellegrinaggi alle urne onde evitare che quattro gatti agguerriti prevalgano sulle maggioranze legittimate dall’ elettorato? Tanto, la formula del “piove, Governo ladro!” attecchisce ancora. Tanto, in Italia basta minimo di imbecillità e la chiacchiera facile per fare una miscela altamente esplosiva, una settimanale rivoluzione sudamericana. Il tasto del malcontento funziona a meraviglia. Ci campano in molti, nel lusso di privilegi e prerogative.
La normativa italiana sul referendum abrogativo attribuisce al cittadino il diritto di esprimersi esplicitamente (votando e scegliendo SI o NO) oppure, tacitamente, non recandosi alle urne.
E’ evidente che la normativa è sbilanciata a favore di coloro che non intendono abrogare una legge del Parlamento e, per questo motivo, andrebbe modificata al più presto affinché le chances dei cittadini siano perfettamente equivalenti.
Altro difetto della suddetta normativa consta nel fatto che, laddove il voto è e deve restare segreto – che si tratti di un SI e di un NO – nei registri dei cittadini aventi diritto, accanto al nominativo del soggetto risulterà documentato il “non voto”, che, in questo caso di referendum, rappresenta la sua scelta referendaria, il suo pensiero contrario all’abrogazione, un NO implicito. Con conseguenze intuibili: in Italia, paese di sedicenti democratici, si tollera tutti e di tutto, ma non il pensiero politico diverso dal proprio.
Vedrete: chi non andrà a votare sarà catalogato e chiamato, al solito, “servo di Berlusconi”; come il solito, dai “servi di De Benedetti”. Che uno possa concepire una propria idea personale, sia pure sbagliata, manco parlarne, è inconcepibile in un Paese ricco produttore e consumatore di demagogia in quantità industriali, dove, ancor prima di chiedersi chi sei, si chiedono a chi appartieni. E non accettano neanche risposte: quelle se le danno da sé. La supponenza prêt-à-porter è un derivato della demagogia. Il tutto ai costi altissimi della politica che non si fa mancare niente; e dire che potremmo importarle dalla Cina a prezzi stracciati e mandare a casa i parassiti che ce le spacciano a peso d’oro. Tanto, la domanda supera l’ offerta.
Mah. Questa è la norma che dovrà cambiare; ma fino a quel momento, rebus sic stantibus, non si vede perché un cittadino che sia contrario alla abrogazione di una legge debba rinunciare al suo diritto di contrastare i fautori del SI, scegliendo di esprimere il NO oppure scegliendo di non recarsi alle urne per tentare di impedire il raggiungimento del necessario quorum del 50% + 1 e invalidare, anche per questa via, ogni risultato nel merito. Ciò è ormai legittimato dalla dialettica politica. Come quando in Parlamento, i deputati escono dall’ aula e fanno mancare il numero legale onde invalidare ogni attività. Loro possono farlo? E i loro doveri di ufficio…?
Il nostro Capo dello Stato, invece, ha dichiarato pubblicamente che si recherà alle urne per fare il suo “dovere” di cittadino.
Tanto di rispetto, ma mi dissocio. Per mie convinzioni personali, forse andrò alle urne; tuttavia, per le ragioni sopra esposte, non ritengo corretto il messaggio implicito nella suddetta esternazione presidenziale: in sede di referendum abrogativo, il non recarsi alle urne non solo non è un “dovere” del cittadino ma è addirittura un suo preciso e sacrosanto diritto di esprimere legittimamente la propria contrarietà all’ abrogazione di una legge del Parlamento. Egli non si assenta dall’ aula ma si assenta dal voto. La tecnica è la stessa.
Mi conforta la lettura della nostra Costituzione Repubblicana, che, all’ art. 48, sancisce: “Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto (dell’ elettore, cioè di colui che vota per scegliere e ed elegge uomini) è personale ed eguale, libero (che vuol dire “come” e “se” votare) e segreto. Il suo esercizio è dovere civico”, così limitando la doverosità del voto soltanto in caso di elezioni e non anche per le scelte referendarie, dove, cioè il cittadino non è “elettore”.
Ma, purtroppo, tant’ è. A futura memoria, i non votanti saranno segnalati. I “tengo famiglia” sappiano come regolarsi!
Ma che bella democrazia del c…!