PREZIOSO?
Accade spesso – ma solo a coloro che osano difenderne un ricordo vivido dalle aggressioni delle approssimazioni e delle indigenze lessicali – di ripensare con nostalgia (nel suo stretto significato etimologico: dal greco νόστος (ritorno) e άλγος (dolore): “dolore del ritorno”, (mancato, aggiungerei) a terre dagli approdi perduti, dalle sponde impraticate, rimosse dalle rotte comuni, come erose dalla rabbia schiumante della marea tossica, dai tremori che s’accodano alle scale valoriali dello sgomento, della disperazione.
Tra queste terre, sempre più negletta, sconosciuta o persa alla memoria, oggi sbiadisce sulle cartine quella dove mandavamo i sogni, le nostre sensazioni, percezioni, emozioni, quando diventavano pensieri. Perché sapevano riconoscerli e identificarli, dentro e fuori di noi, e vestirli di parole dalla giusta taglia, scelte come fiori accostate con impegno da farne un bouquet profumato e colorato senza la sconcezza della sovrabbondanza, dell’ eccesso, della misticanza istintiva ma spesso sfacciata, rozza incapace di esprimere e di comunicare. Eppure, le parole non sono i semplici traduttori dei pensieri: i pensieri nascono su misura dalle e nelle parole che conosciamo. Come si potrebbe mai intendere o percepire che vi sia qualcosa che ci è prezioso se non conoscessimo l’ esistenza ed il senso del termine ‘prezioso’ ?
Chi dispone solamente di un vocabolario asfittico, esangue, scarnito all’essenziale della pura sopravvivenza fisica (e non sempre), non può che generare o che comprendere idee o concetti adeguati, proporzionati: non è un caso che molto spesso gli uomini si risentano e confliggano solo per una inadeguata comprensione delle parole udite o di quelle usate. La maledizione della Torre di Babele si perpetua anche nei giorni dell’ homo spatialis che si muove lungo i parsec ma molto meno tra i centimetri delle pagine di un dizionario.
Eppure, mai come in questo contesto-periodo, l’ uomo presume, suppone a man bassa, sguazzando nell’ acrisia sbrodolato di schizzi di ego come un maiale intorno al truogolo: l’ homo arrogans è accanito consumatore abituale di generi che, invece, andrebbero assunti sotto diretto e costante controllo del medico: vox populi, vox ephemerica, propagatio televisiva, vox sciamana, etc.
I guru dell’ opinione lo sanno bene e, con poche e giuste parole, spacciano alla grande robaccia tagliata e di dubbia provenienza: i clienti non mancano e sono di bocca buona, si accontentano e rincasano soddisfatti: hanno fatto un affare: per pochi soldi hanno comprato la dose giornaliera di verità all’ angolo di casa. Nessuno – col sostegno del World Wide Web che si dovrebbe tenere a distanza di sicurezza di bambini ed altre categorie a rischio, cominciando dagli imbecilli – si preoccupa di andarla a cercare altrove, magari un po’ più lontano: troppo impegno ed inutile sforzo. In molti, infatti, forse nel subconscio, intuiscono che pensare un po’ di più potrebbe essere pericoloso, potrebbe far trovare cose diverse dalle conosciute, dalle comunemente condivise, potrebbe precludere carriere, emarginare. Potrebbe intristire, deprimere.
L’homo arrogans sa di sapere già tutto ciò che c’ è da sapere. Suo figlio undicenne, magari, comincia a bere i suoi dieci vodka lemon giornalieri alle 8 del mattino, la sua bambina si baratta oralmente per una ricarica telefonica, quando a scuola cominciano le lezioni. Ma questo lui che ha insegnato ai figli soltanto le “dritte” per farsi strada, lui questo non lo sa. Magari, questo lo saprà troppo tardi e allora si darà da fare. Sì, per trovare chi incolpare. Quando tutto manca, c’ è sempre il “sistema”, il serial killer multiuso per eccellenza da sbattere sul banco degli imputati e in prima pagina. L’ homo arrogans non ne fa parte, egli si sente sempre e soltanto parte lesa: indignato e risentito sbatterà i pugni sul tavolo ed inveirà, magari a favore di telecamera; auspicherà un rapido cambio di governo, una rivoluzione, persino la “libertà è partecipazione” che fa sempre (gaber)scick. Non sbatterà altro; la testa contro il muro? Ma dai, nemmeno a pensarci.