EST MODUS IN REBUS?
Ho avuto l’ imprudenza di evocare un mio recente articolo che – correndo gli anni 2011 appresso alle sue gozzoviglie guardone ed al lessico bettolaio da degradato suburbio, utilizzato ed omologato persino dal giornalismo griffato dai salotti buoni ed imboniti – ha avuto il riconoscimento speciale della censura redazionale da parte di un giornale che da più di quaranta anni sventolava il vessillo della libertà di pensiero e di espressione. Immeritatamente, si è visto. Un tipico caso di millantato credito che non avevo ancora scoperto, mio malgrado e dopo avervi collaborato gratuitamente con miei numerosi scritti da oltre quindici anni.
L’articolo incriminato è stato poi pubblicato sul mensile “Osservatorio” (Valenzano, Bari) curato da un gruppo di scrittori, poeti, letterati, ed evidentemente “più dotato” di ciò che serve in certi contesti. Intelligenti pauca. À bon entendeur, salut!
Da parte di qualcuno incuriosito che ne ha sentito dire, mi viene chiesto, ora, di pubblicarlo su questo mio blog: e come potrei rinnegarlo, convinto come sono (ancora) della sua legittimità espressiva, motiva ed orientativa? Oltre che della sua attualità. Un sempreverde, un quattrostagioni.
Bigottismo a parte, ovviamente. Le code di paglia sono già in conto/previsione.
Agli eventuali commenti, farò la tara; e buon peso a cattivo gioco. Ma risponderò, lo prometto.
Ecco qua.
LA CLASSICA FIGURA DI M…(Brevi appunti di antropologia)
Argomento scabroso? Certo. Come è certo che, sommersi come siamo tra le cento quotidiane realtà laide e scosciate, di certe figure bisognerebbe evitare di farne e non di parlarne o di scriverne. E’ questione di stile e non di ipocrita senso del pudore. Eppure, pare che il solo termine terrorizzi i benpensanti e trasformi in pusillanimi i più autocelebrati liberi-coraggiosi e metta a nudo impensate code di paglia. Tant’è che ne vale davvero la pena dirne qualcosa.
Come è possibile notare dalle rilevazioni massmediali, dal gossip e dal passa parola, agli “allori” della classica figura di merda, in genere, si accede dopo una lunga carriera e seria militanza nelle cosiddette “prese di toppo di faccia”, esperienze di tipo “preparatorio”. Ma non vi sono sbarramenti per quella non classica. La f.d.m. simplex o light, infatti può “premiare” chiunque, e, come la fortuna, non guarda in faccia a nessuno, il povero, il ricco, l’homo pubblicus e il privatus e può toccare a chiunque si predisponga con volontà, determinazione e ostinazione a beccarla. E, prima o poi, ci riesce. Immancabilmente. La f.d.m. è sempre in agguato, ma, ha di buono che fa passare alla cronaca e, spesso, se è classica, addirittura alla storia. A volte basta poco, altre volte un po’ di più; vado a caso: trenta denari, il disconoscimento di un amico al canto del gallo, una lavata di mani, un armistizio separato, un non starci, una busta o scatola passata di mano, una laurea, un clamoroso flop dell’inquirente accanitosi per anni, un voltagiacchetta ai diversi livelli, un invito a farsi fottere detta nel contesto giusto, una casa a prezzo specialissimo o un’altra in costa azzurra, un trainante pelo muliebre, una vacanza pagata dagli amici degli amici, una mazzetta ‘ducale’, un quotidiano spagnolo o nostrano, una piazza, una tribuna, un palazzo, un teatro, un parcheggio, un ristorante elegante, un amico ladro, etc. La location? Ogni posto va bene: la classica f.d.m. non ha confini, è completamente duttile, e riesce quasi sempre alla grande. Richiede solo impegno e predisposizione. Vocazione, persino.
Bene. Ma, in fin dei conti, che cosa è la classica figura di merda? Non chiedetelo in giro: c’è troppo timore d’esprimersi ricorrendo allo strumento degli esempi necessari per ovviare ad una trattazione scientifica non alla portata di tutti. E sì, perché, per fare degli esempi, occorre fare dei nomi, con le intuibili conseguenze sul piano giudiziario. Lo sappiamo bene, infatti, come vanno le cose, in un contesto dove circa il 99,99% dei giudizi aspetta anni ed anni per arrivare al dibattimento e a sentenza passata in giudicato, mentre, per qualcuno – solo per determinati qualcuno professionalmente adusi alla lucrosa costituzione di parte civile – giudizio e condanna al risarcimento per danni all’immagine sono più veloci della luce. E persino del pensiero. E si tratta quasi sempre di condanne per somme a livello di vincita lotteria nazionale. Pare che ci si possa persino comprare un piede a Montecarlo e/o pagare una ricca campagna elettorale. Entrambi ottimi investimenti immobiliari in itinere: e sì, perché tutta là finisce la buona monetizzazione del danno alla faccia, pardon, all’immagine.
Una definizione assoluta, valida quattro stagioni, è improbabile. Le suddette figure d.m. infatti, non sono tutte “classiche”, nel senso della piena corrispondenza, formale, contenutistica e valoriale, all’ archetipo che il pensiero di scuola più accreditato identifica con quella di Adamo ed Eva, e che la Chiesa chiama “peccato originale”, quando i due furono cacciati a calci in culo da dove già stavano da dio, ma volevano di più. Suum cuique. Se vogliamo, è una cosa del tipo “farla fuori dal vasino”, ma con l’aggiunta personale dell’estro dell’arte creativa del suo autore. Ché non tutti siamo proprio ugualissimi.
Voglio dire. Ci sono in giro delle mezze calzette, dei palloni gonfiati che neanche nelle figure di merda riescono bene, magari ci vanno vicino, ma pure là sbagliano il centro. Eppure, di figure di merda e affini (e similari) ne vediamo così tante, ogni giorno, ci toccano da vicino, quanti sono i candidati all’umano concorso per entrare nel Guinness dei Primati, anche provandoci più volte: dall’ homo condominus vicino di casa, all’occasionale commensale o compagno di viaggio in autobus, dal collega di ufficio, dal più ricco al più povero conterraneo, dall’ultimo al primo concittadino, dal poveraccio massacrabile all’intoccabile, che dobbiamo accontentarci della sola colorita locuzione e basta. La quale, di per sé, è già sapientemente esplicativa, mirabile sintesi di un intero capitolo di una trattato di antropologia, un abstract gnomico del Discorso della Montagna coniugato con la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e declinato con il biblico Decalogo. Anche per questo, sia lode al “dolce stil novo”. Invano cerchereste nel latino, anche quello volgare, o in altro idioma un termine perfettamente corrispondente e che esprima tout court il concetto con analoga esaustività.
Il figurante di merda, tipo classico – chiamiamolo pure così, tanto oggi, un neologismo non si nega nessuno, come si faceva una volta con una sigaretta – non circoscrive le proprie frequentazioni a determinati ambienti di basso livello: sbaglieremmo se pensassimo di poterlo trovare soltanto nelle bettole, nelle taverne, nei suburbi più sordidi. Lui, in genere, incede con passi più lunghi della sua gamba, usa la lingua più velocemente del pensiero per lanciare volgarità bettolanti e opera dappertutto – anche, e forse soprattutto – in contesti dove, invece, sarebbe ragionevole attendersi ben altre figure: il Parlamento, un set-tribuna tv, un’aula, un Ufficio di Presidenza qualunque, quello di un Governatore, di un Sindaco, di un grande professionista, di un alto operatore istituzionale, di un grande giornalista, di un potente operatore economico, di un direttore di giornale, etc. Persino in Chiesa e nella Chiesa. Pare persino che il figurante d.m. abbia stuoli di fans e faccia proseliti, e che costoro gli diano un’apertura di credito no limits. In politica, il suo eloquio gli procura voti e la sua spocchia, scambiata per carisma, gli raccoglie devoti.
Peraltro, lui è uno che la classica f.d.m. non vuole assolutamente sentirsela contestare e non la ammetterebbe neanche sotto tortura. Il suddetto figurante, quando vede la mala parata, fa la voce grossa, grida allo scandalo, all’ingiustizia, minaccia querele a destra e a manca, se ne ha l’autorità convoca conferenze-stampa, si procura accessi in tv, rilascia proclami e dichiarazioni di intenti, cerca le colpe in qualche altro che, in cima in cima, si trova o si trovava al Governo, o sta un po’ più su e si chiama Destino, a metà strada col Padreterno che proprio non si rende conto che certe cose, a lui, il figurante, non gliele deve fare. Il figurante di merda – sempre di tipo classico si parla – insomma, è, al contempo, un tecnico esperto nello sciorinare tutta la compilation di scusanti e di esimenti di rito, compresi l’epitaffico ‘non ci sto’ e l’altrettanto ermetico ‘lei non poteva non sapere’ d’alta scuola: e in questo modo ne fa un’altra di complemento, ma, tanto, sa bene che una buona fetta di amici fideisti (più che fidati), e tutta la schiera dei sottopancia in fila per il trogolo annuiranno e lo sosterranno a spada tratta. E così la classica f.d.m. del soggetto in vista finisce con l’esercitare una potente vis attractiva (forza di attrazione) che, in modo esponenziale, trascina altri a farne altre. Per solidarietà. Una specie catena di Sant’Antonio.
Quello che il figurante di m. non sa è che, comunque, la puzza della figura di merda, classica o di imitazione, gli resta addosso, si concentra con la reiterazione e, come la fama, si diffonde.
Ma dal pericolo del nobile suicidio – quello che si usava una volta tra uomini che praticavano l’onore – lo salverà, come un provvidenziale miracolo, il male endemico nazionale: l’amnesia perniciosa aggravata dalla sindrome del voltagiacchettismo con affaccio sul mare o sui colli.
A cominciare dalla potente Santa Rita, specializzata operativa nel settore dell’impossibile, l’ agiografia annovera diversi altri santi, tecnici di questo tipo di miracoli: San Nicola è tra i più apprezzati e ben attrezzati per riuscirci. Sarà pure una questione di lunga esperienza, ma, accreditati come lui, ce ne son pochissimi. Vengono anche dall’estero più lontano.
Ma è meglio non tirare la corda. Prima o poi – quando è troppo è troppo! – può accadere che anche un buon santo scacci a calci nel culo, sull’ antico esempio del suo Onnipotente datore di lavoro che ha fatto scuola. E, così, alla già nutrita collezione di classiche f.d.m. di qualcuno, devoto per davvero o proforma scenica, il Santo ne faccia aggiungere un’ altra. Perché, in questo caso, l’ auspicata amnesia della gente passa di colpo e resta, fisso come un marchio a fuoco sulla fronte dell’autore, il ricordo indelebile della figura di merda. Classica, però. Noblesse oblige.
תודה רבה אין תשובות חבל מאוד הזמן הוא זהב
todà rabà ein tshuvòt chavàl meòd hasmàn hù zhàv !
Per correttezza traduco :
grazie infinite niente risposte davvero peccato il tempo, lui , è d’ oro !
Esatttamente come il silenzio, però ! Non dispero comunque di leggervi ancora, la speranza è fonte di vita, terra d’incontro, e senza questo, la terra è arida, manca del concime che le è necessario per dare frutti nuovi , dei quali tutti noi, specialmente se ci siamo smarriti o siamo rimasti soli, abbiamo tanto bisogno.
Il carissimo Lamacchia, un bel salvagente ornato di fiori odorosi, ce lo lancia spesso, non lasciamolo galleggiare vuoto, serve a darci una mano !
Amèn ! e Shalom !
Ho avuto voglia di fare una passeggiata, però da sola, questa volta, non mi attirava. Ecco, c’è il blog, chissà quanta gente mi farà compagnia, quanti bei discorsetti ad accompagnare i quatto passi : ma un passo qua e uno là, niente, non incontro proprio nessuno, però sì, un n. 25 ! Meno male che me ne sono accorta. Trattava un argomento che mai avrei pensato di leggere : censura, censura redazionale, ma come è possibile, nelle democrazie c’ è libertà di stampa e di parola ! Ho continuato a leggere fino in fondo, dato l’ interesse suscitato: la varietà di riferimenti alla società odierna, – usi e costumi – nonchè a quelli storici culturali e religiosi , così brillantemente esposti e con l’eleganza propria del lessico di Lamacchia, il quale non può che rivolgersi a persone di un adeguato livello culturale, sia quando scrive di argomenti ironici ed anche scherzosi, sia quando si impegna in argomenti della massima importanza sociale, giuridica, culturale come è quello dell’ articolo in questione. Ed allora perchè tanto silenzio, tanta deplorevole indolenza, dove siamo andati a finire, la poltrona o il divano della televisione, che ci fa stiracchiare come gatti, ci fa non certo proprio ‘fascinosamente’ sbadigliare, alzare le braccia in alto e girare il capo a destra o a sinistra (a seconda delle tendenze) per poi andarsene a dormire così senza neanche poter sperare in sogni rigeneratori, date le misere condizioni dei corpi consegnate ai pur magnifici letti. Ci siamo davvero svuotati, dobbiamo stare attenti, perchè ci sono sempre in agguato approfittatori senza scrupolo, che possono prenderci e portarci là dove magari non desideriamo. E’ tempo di scuoterci, di dare vita doverosamente alle riflessioni , alle partecipazioni se non vogliamo entrare in un mare inquinato di color marrone, ma limpido, e di colore azzurro !
Rispondete, vi prego, lasciate un commento, perchè si possa dibattere, reagire, per dare una pur minima speranza, che qualche cosa di migliore accada ! Amèn, in ebraico significa : Credi!