Note a margine n. 5
“…PER IL GRANDE BENE DI TUTTI”
“…i peggiori uomini fanno le peggiori cose per il grande bene di tutti”, sintetizza brillantemente il commento di Lela sul mio blog (note a margine n. 2), evocando una calzante definizione del Keynes che così si esprimeva argomentando a proposito della possibile autodistruzione del capitalismo, termine che, nel percorso del pensiero storico, economico, sociale, ha assunto (e assume) molteplici significati e, per conseguenza, differenti misurazioni e valenze etiche.
Io non so se oggi – almeno in Italia – sia possibile/giustificabile l’idea che mi guizza, quella di poter parlare, con qualche ragione, di “capitalismo politico”: la ‘indefinizione’ del termine “aperto” parrebbe consentirlo, almeno nel senso di “capitalismo del potere”. Mi pare meno incerto tuttavia, che ci troviamo, oggi, difronte ad una realtà che, non meno del potere del capitalismo economico più tradizionale, eserciti una vis atractiva ed invasiva molto simile a questo e, pertanto, trovi una pletora di uomini che similmente l’ambiscono e si scatenano in ogni modo e con ogni mezzo per scalarlo, conquistarlo e poi tenerselo ben stretto coûte que coûte, disposti a tutto, tranne che a lavorare, guadagnare in proporzione alla utilità del lavoro, imparare l’italiano, etc. La sua forza di attrazione pare irresistibile, fondata com’è sull’ offerta di convenienze oltremodo stimolanti e prospettive (economiche prima di tutto, ma non solo) che superano la fantasia. Uomini che, sia pure a diverso titolo e con diverso mezzo, già occupano (o hanno occupato facendone pedane di lancio) posizioni incidenti sulla vita sociale (dai grandi imprenditori, ai magistrati, a particolari figure istituzionali), servendosi dei mezzi di cui dispongono, esercitano pressioni inimmaginabili, lanciano continue o.p.a. (offerte di pubblico acquisto) di consenso, tendono a far incetta politica, a raggranellare con questa un valore aggiunto personale, plaudono alla dilagante politicizzazione di ogni aspetto della vita dei cittadini stimolandoli in tali sensi con ogni mezzo. Vale a dire, prospettando, acuendo, frizionando, costruendo, mistificando, manipolando, enfatizzando, ipotizzando, promettendo e, de facto, anche creando artatamente un surplus di astratte aspettative populiste e di pericolose conflittualità sociali, quelle che, invece, proprio loro dovrebbero risolvere. Soltanto queste, infatti, alimentano gli sciami di ipotesi ai limiti della letteratura e dei programmi scopiazzati senza ritegno, il becero chiacchierume delle golose comparsate litigiose, e, di conseguenza, giustificano la esistenza e la sopravvivenza della frammentata miriade dei partiti e dei movimenti, e le connesse appetibilissime rendite di posizione, attuali e future, di cui questi godono. Ma il cittadino che abbocca a questa o.p.a. svende scioccamente la propria libertà: o è contento del modesto prezzo riscosso, o, investendo fideisticamente in acrisia, confida in quello che spera di ricavare, quando e se diventerà anche lui come l’avversario che oggi critica ed avversa fieramente, e avrà gli stessi interessi da difendere contro altri.
In questi termini, si può parlare di “capitalismo politico” e di “capitalismo del potere”? Io credo di sì. Male che vada, il concetto non sarà una baggianata più baggiana delle baggianate dei cosiddetti pensieri dominanti. Entrambi, ovviamente e beninteso, sempre “…per il grande bene di tutti”. Quelli che, per l’ appunto, in un modo o nell’altro, se ne lasciano dominare. E si credono liberi.
Storiella dell’utopia
Un giorno ero con un amico (pragmatico) sul bordo di una sconfinata prateria. Io gli indicavo l’orizzonte e cercavo di convincerlo che lì (all’orizzonte) era bello, che lì avremmo potuto essere felici. Che lì, insomma, bisognava andare.
Vi lascio immaginare lo scetticismo del mio pragmatico amico il quale invano tentava di spiegarmi che l’orizzonte è irraggiungibile.
Io, testardo, lo salutai e m’incamminai da solo.
Camminai. Camminai. Camminai ancora. L’orizzonte era sempre lì. Camminai senza mai fermarmi. Camminai per interi giorni, per intere notti. Inesorabilmente l’orizzonte era SEMPRE lì, SEMPRE alla stessa distanza.
Incominciai ad essere assalito dai dubbi. Sempre più forti. Infine dovetti arrendermi. Il mio amico aveva ragione: l’orizzonte è impossibile da raggiungere.
Da persona sincera e leale quale sono, mi girai verso di lui per gridargli che avevo sbagliato, che aveva ragione lui.
MA…
fu proprio in quel momento (appena giratomi) che tutto mi fu chiaro. Quando vidi il mio amico ancora fermo lì, destinato a rimanere fermo lì per sempre mentre io ero andato avanti, parecchio avanti. Fu così che ripresi il mio cammino, senza più dubbi, per andare avanti… verso l’orizzonte. Col mio sogno nel cuore ed i piedi per terra.
ma possibile che fra te e l’ orizzonte i tuoi occhi non abbiano visto un alberello, o qualsiasi altra cosa, che ti avessero convinto ad andare avanti sì, ma con la certezza, o almeno la speranza, di arrivare a qualcosa che avresti potuto stringere in mano, e studiarla durante il cammino per poi depositarla , stanco, dove avrebbe potuto essere raccolta da qualcuno che fosse soltanto all’inizio del proprio viaggio ?
Il tuo amico non aveva ragione, ma neanche tu. Io poi ancora meno.
A questo punto, non so perché, mi viene in mente l’assistenza sanitaria per tutti: che meraviglia!
Pensate, ad esempio, ho una congiunta ultra ottantenne, titolare di una modesta pensione e nient’altro, da parecchi anni in dialisi. Quattro volte alla settimana viene prelevata in auto dalla casa, curata ed assistita in clinica senza omettere nulla, poi riaccompagnata. E poi confronto tutto questo con ciò che era la nostra società solo tre secoli fa…
Ma chi ha fatto tutto questo? A cosa va il merito di tutto questo? Ora, finalmente, lo so: Babbo Natale!! No?